DISCORSO DIVINO

Coltivate pensieri nobili e sacri.

1 ottobre 2006

Incarnazioni dell’Amore!

Molte signore sono ansiose di ascoltare il Discorso di Swami in Telugu e si sono espresse cosě: “Gli studenti sono molto istruiti e parlano correntemente in inglese di argomenti tecnici e ingegneristici. Swami li incoraggia in questa direzione ma noi non riusciamo a comprenderli e saremmo felici di ascoltare il Discorso di Swami in semplice Telugu.”



“Piů dolce dello zucchero, piů saporito del curd,

piů dolce perfino del miele č il nome di Râma.

La costante ripetizione di questo dolce Nome

concede il gusto del Nettare Divino stesso.

Per questo motivo, si dovrebbe

sempre tenere in mente il Nome di Râma.”



Incarnazioni dell’Amore!

Il Paese di Bhârat č antico ed ha una storia gloriosa; non esiste villaggio indiano dove non ci sia un tempio dedicato al Signore Râma ed in ognuno di essi incontrerete sempre qualche persona di nome Râma. Fin dai tempi piů antichi, il Râma Nâma ha brillato in lungo e largo nel Paese di Bhârat senza subire alcuna modifica. Gli âstika (i teisti, i credenti), i nâstika (gli atei) e gli âstika nâstika (i teisti atei) cantano tutti il Nome di Râma. Per esempio, quando una persona si alza dalla sedia pronuncia il Nome “Râma”. Il Râma Nâma č molto popolare nella vita quotidiana della gente di Bhârat e non solo qui, perfino in Cina il Râma Nâma č diventato popolare. Di fatto, il Râma Nâma č diffuso in tutto il mondo.



Uno speciale budino dolce

Il re Dasharatha non ebbe figli per lungo tempo; aveva tre mogli e sperava molto di generare un figlio tramite una qualunque di loro ed innalzare la sua stirpe ma rimase deluso. Egli fece grandi penitenze per avere un figlio maschio; allora, come oggi, solo attraverso il tapas (penitenza) si poteva ottenere la realizzazione dei propri desideri. Assieme alle sue tre mogli, egli celebrň anche il Putrakâmeshti Yâga(1) alla cui conclusione lo Yajńa Purusha (la Divinitŕ del rito sacrificale) gli apparve e gli porse un vaso contenente il pâyasam (budino dolce); Egli disse al re Dasharatha: “Caro figlio Dasharatha! Distribuisci questo pâyasam alle tue tre mogli in egual misura”. Dasharatha agě di conseguenza. In alcuni testi, questo fatto č descritto diversamente: si racconta che il re Dasharatha non abbia distribuito il pâyasam in egual misura alle sue tre mogli ma ciň non č corretto. Egli si fece portare tre coppe d’oro e le riempi di pâyasam in egual misura alla presenza del Saggio Vashishta e quindi consegnň una coppa a ciascuna delle mogli, Kaushalyâ, Sumitrâ e Kaikeyî. Il Saggio Vashishta le benedisse dicendo: “Possa il vostro desiderio essere esaudito!” Le regine furono felici e portarono le rispettive coppe nelle loro stanze di preghiera. different

Sumitrâ perň aveva dei pensieri particolari sul fatto di procreare un figlio; c’era una valida ragione che disturbava la sua mente. Quando il re di Kekaya diede sua figlia Kaikeyî in moglie al re Dasharatha, ottenne la promessa che solo il figlio nato da quel matrimonio avrebbe un giorno governato il regno di Ayodhyâ. Dasharatha accettň questa condizione e sposň Kaikeyî; quindi non avrebbe mai potuto rimangiarsi la parola data. La regina Kaikeyî era di conseguenza molto felice che il figlio, cui avrebbe dato i natali, sarebbe stato il futuro re di Ayodhyâ. Quanto a Kaushalyâ, ella era molto felice e sicura che il figlio che le fosse nato sarebbe stato incoronato dal re Dasharatha essendo lei la prima delle tre mogli. Cosě, sia Kaushalyâ sia Kaikeyî erano felici. Sumitrâ non nutriva invece alcuna speranza. Ella si lavň la testa e andň al piano superiore per asciugarsi i capelli. Come sapete, in quei giorni non esistevano gli asciugacapelli. Ella posň la sua coppa di pâyasam sul parapetto della terrazza e stava asciugandosi i capelli: in quel momento, un falco piombň sulla coppa e la portň via. Sumitrâ si spaventň moltissimo e pensň: “Non importa se la coppa di pâyasam č perduta; temo che mio marito e il nostro guru Vashishta mi sgridino per la mia negligenza.” Scese quindi immediatamente; Kaushalyâ e Kaikeyî la stavano aspettando. Kaikeyî le chiese “Cara sorella maggiore! Perché sei cosi turbata?” e Sumitrâ raccontň tutto l’accaduto. A quei tempi, le mogli non si combattevano tra loro come avviene oggi; erano solite comportarsi come sorelle, con affetto ed amore reciproci. Kaikeyî disse allora a Sumitrâ: “Cara sorella maggiore! Non preoccuparti. Ti darň un po’ della mia parte di pâyasam.” Cosě dicendo, prese una coppa e ce ne versň una parte. Anche Kaushalyâ, che era di larghe vedute, divise parte del suo pâyasam con Sumitrâ. Poi si recarono tutte e tre dal Saggio Vashishta affinché benedicesse le tre coppe. Egli le benedisse dicendo: “Possiate voi generare figli che abbiano qualitŕ nobili, vita lunga, valore supremo e capacitŕ di governare il regno in modo da soddisfare i sudditi.”



Quattro splendidi maschietti

Kaushalyâ partorě per prima un maschio; il figlio era bellissimo e splendente. Il Saggio Vashishta decise di chiamarlo “Râma”. Il bambino era molto bello, affascinante ed attraente e rendeva felici e beati tutti coloro che si recavano a guardarLo. Per questo si dice:



Râmayati iti râmah

Colui che piace č Râma.



La seconda moglie, Sumitrâ, partorě due gemelli mentre Kaikeyî partorě un altro maschio. Il Saggio Vashishta si chiedeva: “Come puň essere? Kaushalyâ e Kaikeyî hanno partorito un figlio ciascuna, mentre Sumitrâ ne ha partoriti due?” Egli meditň quindi su quei fatti e, con l’aiuto della sua visione yogica, intuě che cos’era accaduto in realtŕ comprendendo che ognuno dei due figli nati a Sumitrâ era stato originato dalle due parti di pâyasam che le erano state date rispettivamente da Kaushalyâ e Kaikeyî. I quattro fanciulli furono chiamati Râma, Lakshmana, Bharata e Shatrughna. Lakshmana era parte (amsha) di Râma, mentre Shatrughna era parte di Bharata. Allora Sumitrâ pensň: “Se Râma diventa re, mio figlio Lakshmana dovrebbe diventare il Suo servitore. Analogamente, se Bharata dovesse diventare re, l’altro mio figlio Shatrughna dovrebbe servirlo. Io non desidero che i miei due figli aspirino mai a diventare re; č sufficiente che essi servano rispettivamente Râma e Bharata”. Tuttavia non rivelň a nessuno i suoi pensieri.

Sia Lakshmana che Shatrughna piangevano in continuazione fin dal momento della loro nascita e non mangiavano né dormivano. Sumitrâ non riusciva a comprendere la ragione della loro irrequietezza; provň ad usare vari sistemi, come mantra, tantra e yantra, ma non ottenne alcun risultato. Essi non smisero di piangere. Finalmente si rivolse al suo guru, il Saggio Vashishta, e lo pregň: “O divino guru! Io non riesco a comprendere perché i miei figli piangano incessantemente. Gentilmente spiegamene il motivo.” Il Saggio Vashishta chiuse gli occhi per un po’ e, con l’aiuto della sua visione yogica, cercň di comprendere la ragione del loro piangere continuo dopodiché spiegň: “Madre! Lakshmana č parte di Râma e Shatrughna č parte di Bharata. Quindi, ti prego, metti Lakshmana nella culla vicino a Râma e Shatrughna accanto a Bharata”. Sumitrâ, dopo avere ottenuto il permesso di Kaushalyâ e Kaikeyî, mise i suoi due bambini nelle culle rispettivamente accanto a Râma e Bharata. Immediatamente dopo, sia Lakshmana che Shatrughna smisero di piangere e cominciarono a giocare felicemente; poi presero il latte e dormirono in pace. Da allora Lakshmana seguě Râma come un’ombra e Shatrughna seguě Bharata.



Un amore incomparabile

Dopo che la cerimonia del matrimonio di Râma, Lakshmana, Bharata e Shatrughna fu terminata, Bharata andň nella casa dello zio materno (re di Kekaya) e Shatrughna lo seguě. Qui, ad Ayodhyâ, Râma si stava preparando a partire per i Suoi quattordici anni di esilio nella foresta cosě come Gli era stato ordinato da Suo padre, il re Dasharatha. Sîtâ e Lakshmana lo seguirono spontaneamente.

Cosě, visto che Lakshmana seguiva Râma e Shatrughna si muoveva in compagnia di Bharata, la gente pensň che le due coppie si fossero separate; in realtŕ, l’amore reciproco tra i quattro fratelli era incomparabile.



Per non aver prestato ascolto alle parole di Lakshmana

Durante l’esilio nella foresta, mentre Râma, Lakshmana e Sîtâ girovagavano, si imbatterono in un âshram (romitaggio). Avendo chiesto, seppero che apparteneva al Saggio Agastya il quale, unitamente ai suoi discepoli, diede loro un caloroso benvenuto; essi ringraziarono di cuore e chiesero di poter visitare il luogo. Nel corso della conversazione, il Saggio Agastya consigliň: “Râma! Tu non puoi stare a Tuo agio in questo âshram. Qui vicino c’č una foresta chiamata Dandakâranya; lě potrai sistemarTi confortabilmente e anche madre Sîtâ potrŕ esser felice, senza alcun disagio. Per mangiare avrai a disposizione una grande varietŕ di frutta e lŕ scorre il fiume sacro Godâvarî; costruisci quindi un âshram e vivici.” Seguendo i suggerimenti del Saggio Agastya, Sîtâ, Râma e Lakshmana costruirono un piccolo parnashâlâ (una capanna di foglie), sulla riva del fiume a Pańchavatî, nella foresta Dandakaranya, e cominciarono a vivere lě serenamente. Animali di ogni specie erano soliti aggirarsi intorno all’âshram; un giorno a Sîtâ capitň di vedere un cervo d’oro nei pressi del loro parnashâlâ e ne fu estasiata. Come poteva Sîtâ, che aveva lasciato i suoi ornamenti d’oro ad Ayodhyâ per seguire Râma nella foresta, desiderare quel cervo d’oro? Ella rifletté un attimo e giunse alla conclusione che si fosse trattato di un’illusione ma il destino č invincibile: pur sapendo che un cervo d’oro non poteva esistere, ella chiese a Râma di catturarlo e di portarglielo, in modo da potercisi svagare. Ella pregň: “Râma! Com’č bello quel cervo! Se Tu potessi prenderlo e portarmelo qui nel nostro parnashâlâ, io potrei giocarci e trascorrere il tempo felicemente. Quando Tu vai in giro per la foresta, io resto sola nel parnashâlâ; perché non esaudisci questa piccola richiesta e mi rendi felice?” Râma disse: “Certamente; la tua felicitŕ č la Mia gioia.” Cosi dicendo, mosse per catturare quel cervo d’oro ed allora Lakshmana Lo consigliň: “Caro Fratello maggiore, si tratta di un animale strano; un cervo d’oro non puň esistere. Io credo che qualche demone abbia preso quella forma di cervo d’oro per imbrogliarci e ingannarci. Non hai bisogno di andare a prenderlo, ci andrň io”. Sîtâ perň insistette dicendo che solo Râma avrebbe potuto catturarlo. Cosě lavorava la sua mente in quei momenti cruciali! Assecondando la richiesta di lei, Râma inseguě il cervo per catturarlo. Dopo essersi alquanto allontanato, Râma scoccň una freccia verso l’animale; il demone che aveva assunto quella forma tornň alle sue vere sembianze e gridň “Ah, Sîtâ! Ah, Lakshmana!” e morě istantaneamente. Sîtâ, pur lontana da quel luogo, udě quella voce e la scambiň per quella di Râma per cui disse a Lakshmana: “O Lakshmana! Ti prego, vai immediatamente ad aiutare Râma; sento che č in difficoltŕ ed ha bisogno del nostro aiuto. Credo che ci stia chiamando.” Lakshmana allora spiegň a Sîtâ: “Madre! Questo deve essere un trucco dei demoni. Nessun pericolo potrŕ mai capitare a Râma. Non scoraggiarti e mantieni il tuo equilibrio”.

Sîtâ era irritata dal fatto che, nonostante le sue richieste ripetute, Lakshmana non si decidesse a correre in aiuto di Râma; per questo lo insultň ripetutamente e arrivň persino a dire: “Desideri forse prendermi in sposa se Râma dovesse morire?” Non riuscendo a tollerare le sue parole, Lakshmana partě immediatamente per andare in cerca di Râma; tuttavia, prima di lasciare il parnashâlâ, disegnň una linea attorno ad esso e ammoně Sîtâ: “Madre! Non sono turbato per le accuse che mi hai rivolto ma, per piacere, non uscire da questo cerchio per nessun motivo; i demoni, gli animali, e perfino i tipi di insetti, non possono entrare nell’âshram attraversando questa linea. Tu rimani rigorosamente nell’âshram.”

Avrete sentito parlare di un prodotto chiamato “Lakshmana rekhâ” (la linea di Lakshmana) che ancor oggi viene venduto al mercato; se si traccia una linea con quel bastoncino, nessuna formica o insetto puň attraversarla. Allo stesso modo, il demone Râvana, che era andato all’âshram con l’intenzione di rapire Sîtâ durante l’assenza di Râma, non poté superare il Lakshmana rekhâ ed entrare nell’âshram per cui vi si fermň di fronte, al di fuori della linea tracciata da Lakshmana, e chiese la caritŕ lamentandosi: “Bhavati bhiksham dehî” (Rispettabile madre, fammi l’elemosina). Sîtâ ne ebbe compassione e pensň: “Ahimč! Poveretto! Deve essere affamato. Non č bello cacciarlo da parte mia”. Per questo, superando il Lakshmana rekhâ, uscě per offrire cibo a Râvana. Nel momento in cui ebbe superato la linea, Râvana la fece prigioniera e la portň con sé a Lankâ. Quando Râma e Lakshmana tornarono all’âshram, capirono che Sîtâ era stata rapita e ne furono angosciati. A Lankâ, anche Sîtâ era molto addolorata di essersi cacciata in quella situazione penosa per non aver dato ascolto alle parole di Lakshmana. Seduta nell’Ashokavana (2), ella pensava: “Uscirň mai da questa prigione? Riuscirň mai a rivedere Râma! Oh! Mio caro cognato Lakshmana! Ti ho ripetutamente insultato. Oh, essere nobile!” Ella diceva con rammarico: “Lakshmana! Io vengo punita per aver offeso i tuoi sentimenti.” Sîtâ passň in questo modo dieci mesi a Lankâ senza mai guardare il volto di Râvana. Egli ricorse a molti trucchi travestendosi in mille modi e fece a Sîtâ numerose promesse durante quei dieci mesi ma Sîtâ fu irremovibile. Ella aborriva la sua sola presenza e lo puniva: “Vergognati! Non vali neanche un’unghia del piede di Râma”. Quando poi Râvana iniziň ad insultare Râma, ella perse la pazienza e disse: “Râma č un uomo di grandissimo valore, č coraggioso ed ha una grande profonditŕ di carattere. Tu, invece, sei un uomo meschino e di natura superficiale. Non meriti di pronunciare neanche il solo Nome di Râma.” Incapace di farle accettare le proprie proposte, Râvana si allontanň dandole dieci giorni di tempo per piegarsi ai suoi desideri.



Sîtâ viene consolata e incoraggiata

Sîtâ, tuttavia, passava il tempo con coraggio e fiducia, pensando costantemente a Râma; ella si dava forza pensando che la sua coscienza era il suo testimone e che nessuno avrebbe potuto farle alcunché. Tra le donne appartenenti alla comunitŕ dei demoni, assegnate alla sorveglianza di Sîtâ nell’Ashokavana, ce n’erano due, Ajata e Trijata, figlie di Vibhîshana fratello minore di Râvana. Un giorno, mentre cercavano di consolare Sîtâ che stava piangendo, Trijata le disse: “Madre! La scorsa notte ho fatto un sogno: ho visto una scimmia entrare da sola a Lankâ dandola alle fiamme ed ho anche visto molto distintamente che Râma invadeva Lankâ, uccideva Râvana e ti riportava ad Ayodhyâ”. Anche Ajata consolava Sîtâ dicendo: “O madre! Č tutto vero, anch’io ho fatto un sogno simile. Non devi piů addolorarti”. Entrambe le diedero molto amore accendendo la fede in lei. In effetti, il loro padre Vibhîshana era devoto di Râma e quindi anche le figlie avevano sviluppato devozione in Lui.

Cosě trascorsero dieci mesi. Un giorno a Lankâ ci fu improvvisamente un grandissimo trambusto: si venne a sapere che la battaglia tra Râma e Râvana era cominciata ed, in pochi giorni, si diffuse anche la notizia che Râvana era stato ucciso nella battaglia. Sîtâ fu molto felice del fatto che presto avrebbe lasciato quella prigione e sarebbe tornata alla Presenza Divina di Râma. Tuttavia era in dubbio se andare lei da Râma o attendere che Egli venisse a prenderla per portarla con Sé. In quel mentre, Râma mandň a dire che Sîtâ fosse condotta alla Sua presenza. Tutti i vanara(3) si riunirono lě; essi sono di mente incostante per natura, non serve altra spiegazione a descrivere il loro comportamento, e danzavano e saltavano per gettare un rapido sguardo su madre Sîtâ. Il loro cuore si riempě di gioia nell’avere il suo darshan (la sua visione).

La prova del fuoco

Finalmente Sîtâ fu condotta alla Presenza Divina di Râma ma Egli non le rivolse lo sguardo; chinň la testa, rimase seduto tranquillamente ed ordinň alle persone lě intorno di preparare un fuoco in modo che Sîtâ potesse entrarvi per dimostrare la sua castitŕ. Râma sapeva che Sîtâ era una donna molto casta e nobile ma voleva che questo fosse reso noto anche al mondo. In seguito, qualcuno avrebbe forse chiesto: “Come ha potuto Râma accettare di nuovo Sîtâ tra i suoi dopo che ella ha trascorso dieci mesi a Lankâ prigioniera di Râvana?” Non credete che Egli dovesse rispondere ad una domanda simile? Ecco perché ordinň che Sîtâ si sottoponesse alla prova del fuoco. Avendo compreso questa veritŕ, Sîtâ girň intorno al fuoco per tre volte e, ripetendo il Nome di Râma, vi saltň dentro. Immediatamente dopo, il Dio del fuoco apparve e consegnň Sîtâ a Râma dicendo: “O Râma! Sîtâ č una donna di suprema castitŕ, č la piů nobile. Non č giusto che Tu ne dubiti. Gentilmente riprendila”. La castitŕ di Sîtâ fu cosě resa nota a tutti. Questo avvenimento dimostra la gloria della Veritŕ e della Castitŕ. Vibhîshana, fratello minore di Râvana, condusse Sîtâ, Râma ,Lakshmana e tutto il loro seguito ad Ayodhyâ nel Pushpaka vimâna(4). L’incoronazionedi Râma come re di Ayodhyâ venne celebrata con grande fasto; durante il Suo regno, la gente di Ayodhyâ visse in pace e felicitŕ. La storia narrata nel Râmâyana č sommamente sacra. Il Pativratâ Dharma stesso (il dovere morale e religioso di una donna casta e virtuosa) protesse le donne di quei tempi.

Questa terra di Bhârat ha dato i natali a donne nobili come

Sâvitrî che riportň in vita il marito morto,

Chandramatî che spense un fuoco divampante con la forza della veritŕ,

Sîtâ che diede prova della sua castitŕ uscendo intatta dalle fiamme

e Damayantî che ridusse in cenere un cacciatore malvagio con la forza della castitŕ.

Questa terra di pietŕ e nobiltŕ raggiunse la ricchezza e la prosperitŕ

e divenne maestra di tutte le nazioni del mondo in virtů della castitŕ di tali donne.



La qualitŕ estremamente nobile della castitŕ č unica nella cultura di Bhârat; non la trovate in nessun’altra parte del mondo. Gli uomini, quando allora incontravano le donne, erano soliti chinare il capo in segno di rispetto ma oggi sia le donne che gli uomini si fermano in mezzo alla strada a fare pettegolezzi.

Segnali inquietanti di un avvento imminente

Alla fine del Dvâpara Yuga, Dharmarâja assistette un giorno ad una scena simile e si sentě molto infelice; immediatamente chiamň a raccolta i suoi fratelli ed espresse cosě la sua pena: “O Bhîma, Arjuna, Nakula, Sahadeva! Il Kali Yuga (l’era di Kali) č iniziato ieri: mentre ero in giro per la cittŕ, ho visto una donna che parlava in pubblico con un uomo. Mi dispiace ma non posso sopportare di esser testimone di un simile comportamento immorale”. Un altro giorno, suo fratello minore Arjuna narrň un secondo fatto: “Oggi ho visto un contadino che tornava dai campi portando il suo aratro sulla testa. Gli ho chiesto perché lo stesse facendo dato che avrebbe potuto lasciarlo lě nel campo e tornare a casa. La risposta č stata: Ahimč, Swami! L’aratro non puň esser lasciato lě; i ladri potrebbero rubarlo se lo lasciassi nel campo e, per questo, ogni giorno lo porto a casa e lo riporto nel campo il giorno dopo.”

Un altro giorno, i fratelli Pândava notarono una donna che chiudeva a chiave la porta della propria casa prima di uscire. Interrogata, ella rispose: “Se non chiudo la porta di casa, qualcuno entrerŕ e porterŕ via le nostre cose”. Tutti questi erano segni che annunziavano l’avvento dell’era di Kali. Durante il tempo del Râma râjya (il regno di Râma), l’abitudine di chiudere a chiave le abitazioni o riportare a casa gli strumenti di lavoro non c’era né le donne e gli uomini si fermavano a spettegolare sulla pubblica via. Č solo a causa degli effetti dell’era di Kali che tali avvenimenti hanno cominciato a verificarsi. Per questo motivo i Pândava decisero il loro mahâprasthâna (viaggio finale in direzione del Nord). “L’era di Kali č iniziata; partiamo” fu la loro decisione. Essi tornarono quindi alla loro dimora celeste. I Pândava condussero una vita sacra ed č soltanto grazie a tali anime nobili e sacre che Bhârat si č guadagnato il nome di paese sacro.



Proteggere il Dharma con la purezza mentale

Oggi, tuttavia, tali purezza e santitŕ sono in declino; naturalmente esistono ancora ma non sono evidenti. Solamente il Dharma protegge tutti! Sia gli uomini che le donne devono proteggere il Dharma ( la Rettitudine). Per farlo, la mente deve essere mantenuta salda e pura; non dovete permettere ai pensieri negativi di entrarvi.

Ahalyâ, moglie del Saggio Gotama, fu una grande e nobile donna eppure dovette soffrire a causa di una maledizione di suo marito. Una volta egli la maledě: “Possa tu diventare una pietra e restare nella polvere!” Solo per grazia del Signore Râma ella poté superare la maledizione piů tardi: nel momento in cui i piedi di Râma toccarono la pietra, questa si trasformň in Ahalyâ. Dio puň cambiare perfino una pietra in un essere umano e santificarlo; Egli puň purificare l’impuro. Per quanto soffriate per i vostri pensieri malvagi, nel momento in cui vi rivolgerete a Dio tutte le vostre impuritŕ saranno cancellate. La mente č la causa fondamentale di ogni cosa e quindi tutti, uomini e donne, dovrebbero coltivare pensieri sacri e nobili. Dovete purificare il vostro cuore; soltanto cosě l’Umanitŕ potrŕ sopravvivere altrimenti degenererŕ in una realtŕ diabolica.



(Baba ha concluso il Discorso con il bhajan: “Râma Râma Râma Sîtâ …”).



Prashânti Nilayam, 1 ottobre 2006

Sai Kulwant Hall

Festa di Dasara



(Tradotto dal testo inglese pubblicato da: www.sssbpt.org)



Note:



1.Putrakâmeshti Yâga: lo yâga, o rito sacrificale, prescritto per coloro che desiderano procreare un figlio maschio.

2.Ashokavana: letteralmente “la foresta senza dolore” č il nome del meraviglioso giardino di Shrî Lankâ dove Sîtâ fu tenuta prigioniera.

3.Vânara: nome del “popolo delle scimmie” che, col suo re Sugrîva, fu alleato di Râma nella guerra di Lankâ.

4.Pushpaka vimâna: un carro volante (vimâna), chiamato “Pushpaka” (Fiore), che venne donato da Brahmâ a Kubera (il Dio della ricchezza) e che fu rubato da Râvana. Fu Râma che, dopo aver ucciso Râvana e riportato Sîtâ e Lakshmana ad Ayodhyâ, lo restituě a Kubera.