“Alcune persone rimangono sveglie tutta la notte di Shivarâtrî a giocare a carte: può mai questa definirsi veglia?
Se ci si astiene dal cibo a seguito di una lite con la propria moglie,
si sta forse facendo un digiuno?
Il pescatore sta intensamente in osservazione al fine di catturare il pesce nella rete: può mai questa chiamarsi meditazione?.”
Incarnazioni dell’Amore!
Durante la sacra notte di Shivarâtrî, molta gente gioca a carte tutta la notte con l’intento di star sveglia. Una volta chiesi a un militare: “Come hai trascorso il tuo tempo la scorsa notte?” Egli si alzò immediatamente in piedi e disse: “Swami! L’ho trascorso molto felicemente.” Gli chiesi allora che genere di felicità avesse provato ed egli rispose: “Ieri era Shivarâtrî; ho giocato a carte tutta la notte, mi sono divertito molto e non ho chiuso occhio neppure per un istante.” Gli chiesi ancora: “Come puoi trarre frutto da Shivarâtrî passando il tempo a giocare a carte per tutta la notte?” L’ufficiale Mi dette una splendida risposta: “Dato che ero occupato a giocare a carte, per tutta la notte sono stato libero dalle preoccupazioni; mi è sembrato di aver trascorso la scorsa notte felicemente.” Avrete avuto l’occasione di osservare dei pescatori che stendono le loro reti nello stagno e attendono concentratissimi sperando che qualche pesce cada nelle reti. Il loro sguardo intenso può forse essere definito “concentrazione”? Può condurre alla Mukti (la Liberazione)? La comprensione che oggi l’uomo ha della concentrazione e della meditazione può esser paragonata allo sforzo unidirezionale del pescatore che cerca di catturare un pesce. Un altro esempio: una persona è pesantemente ubriaca e perde la coscienza corporea; potete definire questo stato Tanmayatva (totale identificazione con il Divino)? Un altro esempio ancora: una persona litiga con la moglie e si rifiuta di mangiare; potete dire che ha fatto un digiuno rituale? Alcune persone ricorrono a questi sistemi per raggiungere la totale identificazione con il Divino e per trovare la concentrazione; esse vivono nel paradiso degli sciocchi. Si può ben immaginare fino a che punto l’uomo sia degenerato dandosi alle cattive abitudini e alle deviazioni! Avete mai analizzato la natura del corpo umano? Esso consiste di sudore, escrezioni, cattivi odori, carne e sangue; è soggetto a decadere e infine a morire. Ogni secondo che passa, nel corpo vengono generati materiali di rifiuto e cattivi odori. Che cosa c’è da essere orgogliosi di un corpo così decadente? Si deve realizzare la vera natura di un corpo tanto evanescente e farne l’uso migliore. Sapete perché Dio ci ha dato un corpo umano? Forse affinché indulgiamo in azioni malvagie o sprechiamo una vita preziosa? No, no. Il corpo è stato dato all’uomo affinché egli si sforzi di ottenere la Divinità e non perché ne faccia un cattivo uso. Dovete essere voi stessi a capire i sacri scopi per cui dovete usarlo. Dal momento in cui ci si alza il mattino fino a quando si va a letto la sera, il tempo dell’uomo viene usato per azioni mondane. L’uomo non ha il tempo di pensare a Dio neppure prima di andare a letto. Il corpo umano è uno strumento sacro dato da Dio e deve essere santificato contemplando Dio almeno una o due volte al giorno. Che genere di attività devono essere intraprese dall’uomo per trarne felicità e gioia? La risposta più appropriata a questa domanda deve essere che i suoi sensi devono essere impegnati nella costante contemplazione di Dio. Gli occhi devono sempre vedere cose buone, le orecchie essere usate per ascoltare cose positive, la lingua per pronunciare sempre parole dolci e nobili e cantare il nome di Dio. Ogni parte del corpo deve dunque essere usata in modo appropriato ed essere santificata.
Cari studenti!
Normalmente non Mi piace parlare della Mia persona fisica ma vi rivelerò alcuni aspetti della Mia routine giornaliera sperando che vi servano da linee guida: Mi sveglio quattro volte durante la notte. In genere Mi alzo dal letto a mezzanotte, Mi lavo i denti e Mi pulisco accuratamente anche la lingua e la bocca. Ripeto il processo all’una e mezza, alle tre e poi alle quattro e mezza del mattino. E' possibile che i ragazzi, che dormono in camera Mia per assisterMi nelle Mie necessità durante la notte, trovino quest’abitudine un po’ sconveniente, dato che disturba il loro sonno, ma Io Mi attengo strettamente a questa routine per far sì che la Mia lingua, la Mia bocca e i Miei denti siano sempre puliti. Sto bene solo quando ho la lingua e la bocca pulite. Una lingua pulita aiuta a mantenere la purezza nel corpo e nella mente. Mi avrete osservato parlare a molta gente ogni giorno: con coloro, che mantengono pulita la lingua e la cui bocca non emette un cattivo odore, parlo anche per venti minuti invece dei soliti dieci. Con le persone che hanno cattivo odore, invece, non parlo neppure per due minuti. Mentre dormiamo si generano dei batteri che si attaccano alla lingua e ai denti e in ogni parte della bocca. Essi devono essere rimossi con un’appropriata spazzolatura dei denti e un’approfondita pulizia della lingua e della bocca. Solo così possiamo essere sani e felici. A parte la pulizia fisica, la nostra lingua deve essere utilizzata soltanto per esprimere parole sacre e pure. Seguendo questo principio, Io uso appropriatamente la lingua impegnandoMi solo in attività sacre.
Esco di camera solo dopo aver pulito il Mio corpo perfettamente. A questo punto un ragazzo che si occupa della cucina Mi porta il ragi gruel; Io lo mangio e Mi sento molto felice e pieno di energia. A parte il ragi gruel, non prendo nient’altro per tutta la mattina. Non faccio colazione. Dopo aver mangiato il gruel Mi pulisco nuovamente la bocca, poi bevo un po’ d’acqua fresca e scendo. Molta gente si chiede che cosa Io mangi a colazione: niente, non Mi piacciono gli spuntini! Tutto ciò che Mi piace prendere è un bicchiere d’acqua fresca. Poi trascorro felicemente un po’ di tempo con i devoti, do il darshan, parlo con alcune persone, e concedo anche le “interview” a persone selezionate. Sono sempre puro nel corpo e nella mente: le Mie parole sono pure, i Miei pensieri sono puri e le Mie azioni sono pure e sacre. Un aspetto importante che deve essere tenuto a mente dalla gente che viene chiamata per l’interview è che, quando entro nella apposita stanza con un Corpo così puro e sacro, noto che alcuni, che sono seduti nei gruppi, sono dipendenti dal vizio del fumo. Vi prego di prender nota del fatto che Io non permetto alla gente di fumare. Disapprovo fortemente il vizio del fumo e chiedo immediatamente a queste persone di uscire fuori. La moglie di un fumatore può supplicarMi: “Swami! È mio marito. Se lo mandi via, che cosa ho da presentarTi?” Io replico fermamente: “Che si tratti di tuo marito, di tuo figlio o di chiunque altro, nella Mia stanza non si deve entrare con un cattivo odore e con l’odore di sigaretta; digli di uscire, di lavarsi la bocca e di tornare. Poi parlerò con lui.” Queste persone escono immediatamente, si lavano e poi, dopo dieci minuti, ritornano. A questo punto posso parlare con loro tranquillamente. Molta gente cerca di nascondere il cattivo odore che emana dal proprio corpo usando del profumo. C’è una storiella nei Purâna che è molto significativa a questo proposito: la Dea Pârvatî fece grandi penitenze sperando di sposare il Signore Îshvara. Ella provò ogni sorta di metodi per sedurLo, per esempio indossando dei bei vestiti, mettendosi del profumo ecc., ma Egli non cedette ai Suoi desideri. Allora Pârvatî, per accattivarsi Îshvara, chiese aiuto a Manmatha (Cupido). Anche allora, Egli non si mosse d’un centimetro; al contrario, prese Manmatha e lo mandò ad aiutare Pârvatî. Immediatamente Ella capì il Suo errore e riacquistò il Proprio equilibrio; meditò sulla Forma divina del Signore Îshvara, che è eterno, immacolato, illuminato, liberato e incarnazione della purezza, e tornò al Suo modo di essere: normale, naturale e pura. Îshvara, allora, volse la Sua visione verso di Lei e La accettò. Si sposarono, in un giorno fausto, con il consenso dei genitori di Lei. Un essere umano deve essere sempre naturale e puro: non deve essere artificioso indossando vestiti vistosi e usando colori o profumi. Questi ultimi a volte possono essere necessari, entro certi limiti, ma come si possono usare profumi se il corpo è pieno di cattivi odori? Il Mio Corpo emana sempre uno splendore naturale ed un profumo divino perché Io non ho mai cattivi pensieri. “Mente sana in un corpo sano” è il principio che Io seguo. Per insegnare agli altri queste buone abitudini mantengo sempre il Corpo e la Mente in una condizione pura e immacolata. A volte sveglio a mezzanotte il ragazzo che dorme nella Mia stanza e poi lo sveglio nuovamente all’una. Questo può dare ai ragazzi un po’ di fastidio. Sì, essi possono provare un po’ di fastidio in quel momento particolare ma lo dimenticano subito e attendono alle necessità di Swami. Il corpo deve essere sempre mantenuto in una condizione di pulizia e benessere perché è uno strumento sacro fornitoci da Dio. Dato che Io do la massima importanza alla pulizia del corpo, anche gli altri dovrebbero emularMi. Seguendo le Mie buone abitudini e progredendo assieme a Me, la gente otterrà il rispetto della società. Mârkandeya era un grande devoto del Signore Îshvara ma era destinato a vivere solo sedici anni. Come ogni altro ragazzo della sua età, trascorreva molto tempo giocando. Inconsapevole della sua morte imminente, era molto felice in compagnia degli altri ragazzi. Quando i suoi genitori si resero conto che a breve avrebbe completato il suo sedicesimo anno d’età, si sentirono molto tristi per il fatto che egli si stava avvicinando alla fine. Erano immersi nel dolore e cominciarono a piangere. Mârkandeya chiese loro: “Perché piangete?” Essi capirono che non potevano più tacere l’informazione al ragazzo e risposero: “Figlio, la nostra relazione con il tuo corpo fisico finisce oggi. Il Signore Îshvara ti ha concesso una breve vita di sedici anni che oggi è arrivata alla fine.” Mârkandeya rimase davvero molto amareggiato da questa confessione perché fino allora aveva trascorso quasi tutto il tempo giocando in compagnia degli altri ragazzi. Avendo capito che gli rimanevano ancora solo pochi minuti di vita, fece un bagno e si recò al tempio di Îshvara. Là iniziò a ripetere il divino Nome di Îshvara con toni sinceri. Intanto sopraggiunse l’aurora. Îshvara e Pârvatî stavano discutendo fra di Loro sull’imminente morte di Mârkandeya; Pârvatî chiese: “Swami! La vita di Mârkandeya è quasi arrivata alla fine. Perché non rimandarne la morte e salvargli la vita? I suoi genitori sono prostrati dal grande dolore.” Îshvara allora consigliò che Pârvatî entrasse in scena e recitasse il Proprio ruolo al fine di prolungare la vita del ragazzo. Ella, allora, lo sollevò e lo fece sedere sulle Proprie ginocchia. Mârkandeya ebbe la fortuna di sedersi sulle ginocchia della Madre Divina, cosa che gli fece guadagnare la grazia del Signore Îshvara. Egli arrivò e lo benedisse facendolo diventare un ciranjîvi (immortale). Così, il ragazzo si guadagnò la grazia sia della Madre sia del Padre Divini. Intanto, i genitori di Mârkandeya arrivarono e videro che cosa era successo al loro figlio; nel trovarlo sano e vegeto la loro gioia non conobbe limiti. Essi espressero in questo modo la loro felicità: “Figlio, è solo per merito della tua devozione e del tuo completo abbandono al Signore Îshvara che hai potuto superare la morte e guadagnarti la grazia divina diventando un ciranjîvi. ‘Tu’ hai protetto te stesso; noi non potevamo far niente a questo riguardo.” Dio non ha bisogno di ricevere niente dal devoto eccetti la devozione e il completo abbandono. Egli si aspetta dal devoto un corpo sacro, delle parole sacre, una sacra visione e un’attività disinteressata. Quando un devoto offre queste cose, Dio dà Se Stesso a quel devoto. Le azioni del corpo e della mente di un devoto devono essere sempre pure affinché Dio venga attratto da lui. Non è con le varie forme di adorazione o altri rituali che si può ottenere la grazia di Dio. Persino una madre si aspetta che il figlio coltivi un cuore puro. Per ricordare all’uomo la futilità di lottare solo per riempirsi la pancia, Io recito frequentemente questa poesia:
“Uomo! Tu lotti strenuamente per riempirti la pancia, acquisisci molte forme di conoscenza in vari campi. Esaminati ed indaga dentro te stesso per renderti conto di quale grande felicità hai acquisito trascorrendo tutto il tuo tempo, dall’alba al tramonto, ad incamerare la conoscenza mondana
e ad accumulare ricchezze dimenticando Dio.”
Io santifico sempre il Mio tempo impegnandoMi in attività che apportano beneficio alla società. Fin dalla Mia infanzia ho coltivato abitudini spartane e ho seguito uno stretto regime. Questo ve l’ho già espresso in un’altra poesia, in una precedente occasione, in questo modo:
“Alzatevi presto il mattino, al cantar del gallo,
fate un bagno dopo le vostre abluzioni mattutine,
mettetevi un abito appropriato,
mangiate in modo giusto e moderato,
andate a scuola e studiate diligentemente,
guadagnatevi una buona reputazione,
non uscite quando piove, non avvicinatevi mai ai fossi,
partecipate alle gare, correte e giocate.
Se vi atterrete a tutte queste regole
avrete sia la salute sia la ricchezza.”
Ai Miei tempi la gente non era abituata a nutrirsi di “merendine”. Il riso bollito veniva messo a bagno nel “buttermilk” la notte precedente e, al mattino, veniva mangiato con un po’ di sale. Molti ragazzi tengono le scrivanie in disordine, con i libri sparsi qua e là. Questo fa sì che i libri siano sgualciti e sporchi. Io tenevo sempre i Miei libri ordinati e puliti. Tutto ciò di cui vi parlo oggi si basa solo sulle Mie esperienze personali. Ai Miei tempi, i ragazzi che potevano permettersi dei libri nuovi, quando venivano promossi alle classi successive, erano pochissimi. Ogni quattro o cinque anni, i libri di testo venivano cambiati. Io tenevo i Miei libri molto bene, ragion per cui alcuni ragazzi delle classi inferiori alla Mia, quando venivano promossi, li prendevano. Un anno in particolare, un ragazzo povero Mi si avvicinò e Mi chiese i Miei libri. Gli dissi di tornare dopo aver fatto un bagno nel fiume Citrâvatî. Lui obbedì. Allora gli mostrai i Miei libri. A quei tempi c’era un programma di studio ampio, anche nelle classi inferiori, che comprendeva storia, geografia, educazione civica ecc. Nel vedere i Miei libri, il ragazzo commentò: “Râju! Sembra che Tu non abbia mai neppure toccato i Tuoi libri, neanche una volta! Sembrano nuovi di zecca.” Il costo dei Miei libri ammontava a dodici rupie ma il povero ragazzo non poteva pagare così tanto. Allora gli dissi: “Mio caro! Sono stato selezionato dall’insegnante per il campo scout di quest’anno. Devo trovare un vestito color cachi e delle scarpe. Inoltre, ci sono anche delle altre spese da affrontare e Io non ho i soldi per comprare quelle cose né voglio chiederli ai Miei genitori. Quel che Mi serve al momento sono cinque rupie. Perciò, dammele e prenditi i libri.”
Il ragazzo fu molto felice. Pagò subito tutta la somma ma, a quei tempi, le banconote erano molto rare, per cui aveva portato la cifra in monetine avvolte in un pezzo di stoffa. La stoffa era vecchia e le monete erano così pesanti che era difficile trasportarle per cui caddero e si sparsero dappertutto facendo un gran rumore. La padrona di casa udendolo, arrivò subito e Mi chiese: “Dove hai preso tutti questi soldi? Li hai rubati dalla mia cassapanca?” Così dicendo, Mi schiaffeggiò. Il ragazzo povero, che era in piedi lì davanti a Me, le spiegò: “Madre! Ho dato io i soldi a Râju perché ho comprato i Suoi libri!” Ma lei non gli credette e si prese tutti i soldi. Il giorno seguente tutti i Miei compagni di classe andarono a Cuddapah per partecipare al campo scout. Io studiavo a Kamalapuram quando accadde quest’episodio; dissi al Mio insegnante che sarei partito il mattino seguente e avrei raggiunto il gruppo laggiù. Di buon mattino, Mi misi in viaggio a piedi. Camminai a lungo e, prima che potessi raggiungere i Miei compagni, essi erano già andati a far colazione. In quanto a Me, non avevo neppure un paisa (monetina indiana N.d.T.) in tasca. Che cosa potevo mangiare per colazione? Pensai che avrei fatto senza. Evitai di proposito i Miei compagni di classe per timore che potessero chiederMi se avevo fatto colazione. Essi Mi stavano cercando. In quei paraggi c’era una cisterna in muratura in cui veniva raccolta dell’acqua per lavare mucche e bufali. Avendo camminato senza interruzione, ero stanco, avevo fame e sete ma non potevo farci niente. Mi lavai il viso con quell’acqua sporca e ne bevvi un po’. Poi notai che, proprio sulla cisterna, qualcuno aveva dimenticato un pacchetto di bîdi (sigarette) e una moneta da un anna. Chiaramente i bîdi non Mi servivano; perciò li gettai via. Presi la moneta e la cambiai in quattro monete più piccole (bottu o kani). A quei tempi quattro bottu equivalevano a un anna. Mentre tornavo, notai una persona che giocava a carte seduta sul fianco della strada. Le carte erano sparse su un pezzo di stoffa ed egli invitava i passanti a scommettere su una carta particolare offrendo di raddoppiare la somma a chi vinceva. Non c’era dubbio, era una sorta di gioco d’azzardo, dal quale consiglio a chiunque di tenersi alla larga, ma non sapevo assolutamente che fare; perciò misi una moneta su diverse carte. Ogni volta vincevo la scommessa e prendevo il doppio della somma investita. Giocai fino ad arrivare a sedici anna, cioè una rupia. Poi misi fine al gioco e tornai con i soldi guadagnati. Dato che avevo fame, Mi comprai tre dosa spendendo un bottu. A quel tempo un dosa si comprava con un dammidi (un terzo di un bottu). Perciò, mangiando dosa, ce la feci con due bottu al giorno. Esplicai i Miei doveri di scout assieme ai Miei amici. Durante la notte tenevo il mucchietto di monete sotto la testa e dormivo per terra, sulla sabbia. Dato che ero molto stanco, Mi perdevo in un sonno senza sogni ma, intanto, qualcuno aveva notato il mucchietto di soldi sotto la Mia testa e Me lo prese mentre ero girato dall’altra parte. Il giorno successivo, quando Mi svegliai, Mi resi conto che il pezzo di stoffa annodato Mi era stato rubato. Non avevo soldi, neppure per comprarMi un dosa. I Miei compagni erano molto tristi per la Mia situazione: stavano infatti piangendo e cercarono di convincerMi a mangiarne almeno uno, che essi avrebbero comprato per Me, ma Io rifiutai con fermezza. Dissi di non aver fame perché non Mi piaceva avvalerMi dell’aiuto altrui. In particolar modo non desideravo toccare il denaro degli altri. Così, lasciai quel posto. Durante la Mia infanzia accadde un altro episodio: una volta avevo la mano gonfia e questo Mi procurava un gran dolore. Non lo dissi a nessuno e Me la fasciai da solo con un panno bagnato. Il giorno seguente morì il figlio di Seshama Râju (fratello maggiore di Swami N.d.T.). Questi mandò un telegramma a Venkama Râju (padre di Swami N.d.T.) ed egli accorse immediatamente per incontrarlo. Griham Abbâyî (Venkama Râju) partì da Puttaparthi, raggiunse Bukkapatnam e di là continuò per Kamalapuram. Quando arrivò a casa di Seshama Râju, tutta la famiglia era prostrata dal dolore per la morte del figlio. Anch’Io dovevo far finta di essere addolorato sebbene Io sia al di là del dolore e della gioia. Griham Abbâyî Mi fece delle domande; Mi chiese perché avessi la benda attorno all’avambraccio. Cercai di spiegare con molta noncuranza che non era successo niente, che avevo un lieve dolore all’articolazione e che quindi Mi ero fasciato il braccio. C’era una signora, che abitava nella casa accanto, che apparteneva alla comunità Vysya e che si guadagnava da vivere preparando dosa e rivendendoli. Cercò di parlare con Griham Abbâyî, dicendo: “Senti un po’, Venkama Râju! So che siete abbastanza benestanti da poter dare un’istruzione a Râju nel vostro paese. Perché dovete farGli passare tanti guai lasciandoLo alle cure di un fratello maggiore, così distante da casa ? Non sapete quanto vostro figlio stia soffrendo qui! Deve attingere l’acqua da un posto lontano trasportando due grossi recipienti sulle spalle con l’aiuto di un bastone, tutti i giorni.” Raccontò così molti episodi in cui avevo dovuto sostenere degli sforzi fisici e soffrire. Nel venire a conoscenza della Mia situazione, Griham Abbâyî si commosse profondamente e subito Mi chiamò e Mi disse: “Figlio mio caro! Preparati immediatamente e parti con me. Torniamo a Puttaparthi.” Tutti i membri della famiglia Mi amavano. Perciò egli si lamentò: “Fino ad oggi io non Ti ho mai picchiato. Stai soffrendo molto qui.” Io cercai di consolarlo dicendo: “No, no. Quel che dice questa gente non è vero. Nessuno Mi mette nei guai! Se vengo via adesso, non ci sarà nessuno ad aiutarli nelle faccende domestiche. Non è giusto che tu Mi porti via da qui proprio adesso. Vai ed Io ti seguirò più tardi, al momento giusto.” Non gli rivelai che il dolore al braccio era dovuto alle percosse inflitteMi nella casa di Seshama Râju. Non ho mai avuto l’abitudine di lamentarMi delle persone più anziane; ho sempre cercato di proteggere la dignità e l’onore della famiglia. A quei tempi dovevo lottare molto a causa della mancanza di fondi per la Mia istruzione; molto spesso dovevo cavarMela con le tasche vuote. Nello stesso villaggio c’era un uomo d’affari, di nome Kotte Subbanna, che gestiva un negozio di alimentari in cui venivano vendute anche alcune medicine ayurvediche. Una volta, in quel negozio, venne messa in vendita una nuova medicina ayurvedica di nome ‘Bala Bhaskara’. Era una medicina nuova e molto efficace che gli avrebbe procurato un buon profitto se fosse stata adeguatamente pubblicizzata. Egli Mi chiese allora di prenderMi la responsabilità di fare propaganda a questa nuova medicina. Io acconsentii alla sua richiesta e gli chiesi ulteriori informazioni sulla medicina stessa. Quindi composi una canzone che ne vantava l’efficacia e raggruppai alcuni bambini della Mia età allo scopo di andare in giro per i villaggi vicini, con in mano dei cartelli, cantando la canzone composta da Me. Io guidavo il gruppetto di ragazzi. La canzone faceva così:
“Eccola! Eccola! O bambini! Venite, venite!
Questa è la medicina ‘Bala Bhaskara’;
sia che si tratti di uno stomaco sottosopra
o di una gamba gonfia, di un dolore a una giuntura
o di flatulenza, di qualsiasi malattia, conosciuta e sconosciuta...
prendete la ‘Bala Bhaskara’ per una guarigione istantanea!
Se volete sapere dove trovarla, andate al negozio di Kotte Subbanna e la potrete avere.
Venite, ragazzi! Venite qui!
È un tonico eccellente, preparato dal famoso medico Gopâlâchârya in persona.
Venite, ragazzi! Venite!”
Nel periodo che impiegammo a completare il nostro giro di propaganda per i villaggi limitrofi, tutto lo stock di medicine del negozio venne esaurito. Subbanna ne fu molto felice. Mi chiamò ed espresse la propria felicità in questo modo: “Caro Râju! Per merito Tuo ho venduto a tempo record tutto lo stock di medicine che avevo in negozio, e Te ne sono grato.” Quando Griham Abbâyî Mi aveva chiesto di seguirlo a Puttaparthi, Io gli avevo risposto che non potevo andare con lui perché la famiglia di Seshama Râju era in uno stato penoso a seguito della perdita del figlio. Gli avevo detto: “Non è giusto che Me ne vada in questa occasione. Ti prego, torna a Puttaparthi; Io tornerò da te più tardi.” Griham Abbâyî versò lacrime di gioia per il Mio senso di responsabilità e per i Miei nobili sentimenti. Disse: “Caro figlio! Non ho mai incontrato dei bambini piccoli che esprimessero pensieri così nobili ai loro genitori. Come sono nobili e grandi le tue qualità! Mi insegni cose così elevate! Come sono dolci e sagge le Tue parole! La Tua nobiltà Ti proteggerà.” Così dicendo, partì per Puttaparthi. Comunque, quando fu arrivato a destinazione, Mi mandò dei messaggi tutti i giorni chiedendoMi di tornare laggiù. Si ricordava di tutte le lamentele della vicina di casa Vysya a proposito della Mia difficile vita a Kamalapuram ed era molto triste per la Mia situazione. Intanto, erano passati alcuni giorni ed Io dovevo anche prepararMi agli esami: non Mi sembrava saggio tornare a Puttaparthi senza averli sostenuti. Inoltre, agli esami dovevo anche prenderMi cura dei Miei amici. Eravamo tre amici: Ramesh, Suresh e Io. In classe sedevamo nello stesso banco. Ramesh e Suresh stavano seduti uno alla Mia sinistra e l’altro alla Mia destra. Non erano bravi a scuola. Io dissi loro: “Scriverò le risposte alle domande sui vostri compiti. Voi dovrete solo star seduti in silenzio nella sala degli esami.” Tutti e tre ci recammo nella sala degli esami. I nostri numeri di registro erano piuttosto lontani l’uno dall’altro, perciò dovemmo sederci in posti diversi e non c’era alcuna possibilità di comunicare fra di noi. I Miei amici erano molto tristi e depressi. Io progettai un piano per aiutarli: innanzitutto finii di scrivere il Mio compito in brevissimo tempo, poi presi degli altri fogli e scrissi le risposte alle domande sia per Ramesh sia per Suresh con la loro scrittura ed, infine, portai tutt’e tre le risposte sulla scrivania dell’esaminatore. Il risultato dei nostri esami venne annunciato dopo tre giorni. A quei tempi i risultati venivano dati poco tempo dopo gli esami, non come ai giorni odierni in cui i risultati vengono annunciati mesi dopo. Tutti e tre fummo promossi in prima classe. Quali che fossero state le risposte nel foglio delle Mie risposte, le stesse furono trovate anche nei fogli delle risposte degli altri due ragazzi ma nessuno ci poté accusare di aver copiato perché i nostri numeri erano molto diversi e i nostri posti distanti. Il Mio era il numero 6 e quello di un altro ragazzo il 108; anche il numero del terzo ragazzo era lontano. Comunque, il nostro insegnante Mahboob Khan capì che li avevo aiutati a superare con profitto gli esami ma non lo disse a nessuno. Mentre uscivamo di classe, gli insegnanti ci seguirono e si congratularono con noi per essere riusciti a ottenere la prima classe agli esami. Essi versarono lacrime di gioia. Avevo in tal modo reso tutti felici, inclusi i Miei insegnanti; così tornai a Puttaparthi. I Miei amici Ramesh e Suresh espressero il desiderio di accompagnarMi a Puttaparthi. Insistettero per seguirMi. Io dissi loro che, se lo desideravano, potevano accompagnarMi fino a Puttaparthi ma che poi sarebbero dovuti tornare indietro alle loro case. Io davo consigli, guidavo e correggevo i Miei compagni di studio durante la Mia permanenza a scuola. Non sprecai mai il Mio tempo a scuola, Mi detti sempre da fare per santificarlo. Ho sempre parlato dolcemente e a bassa voce con tutti. Quando raggiunsi Puttaparthi, la gente poté notare che avevo contratto una strana malattia: parlavo con Me stesso. Le persone intorno a Me pensavano che fossi matto. Molti Mi offrirono numerosi consigli per guarire da quella strana malattia ed, alla fine, tutti, all’unanimità, decisero che dovevo esser portato da uno stregone che Mi curasse da una presunta possessione demoniaca. Questi Mi rasò i capelli a zero e inflisse al Mio cuoio capelluto due profonde incisioni a forma di X. Quindi versò del succo di limetta sui tagli sanguinanti. Ciò Mi provocò un grande dolore e un’insopportabile sensazione di bruciore ma Io non detti sfogo alle Mie sensazioni e soffrii sopportando in silenzio tutta questa tortura. In effetti, Me la ridevo di quello stupido trattamento. Lo stregone decise poi di farMi soffrire ancora di più: portò una sostanza velenosa chiamata kalikam e Me la versò dentro gli occhi. Mi sottopose, in tal modo, a diverse forme di tortura. Venkâmmâ (la sorella maggiore di Baba N.d.T.), che Mi aveva accompagnato a casa dello stregone, non poteva sopportare di vederMi subire tali sofferenze. Perciò corse da Griham Abbâyî e si lamentò: “Padre! Non sottoporre Sathya a quel trattamento disumano; quell’uomo Gli sta infliggendo grandi sofferenze e ferite. Basta con le torture: riportaLo indietro a Puttaparthi, immediatamente.” Così fui riportato a Puttaparthi. Da allora in poi, di tanto in tanto, ebbi attacchi occasionali di quella “strana malattia”. Il giovedì rispondevo ad alcune domande e interrogativi della gente in nome di Baba... Dal giorno in cui quello stregone Mi rasò la testa e Mi fece due tagli profondi sul cuoio capelluto non Mi sono più tagliato i capelli. Alcuni pensano che Io Mi faccia qualcosa ai capelli. No, mai. I Miei capelli crescono così in modo naturale, porto questa pettinatura da settant’anni. A breve cadrà il Mio settantanovesimo compleanno. Fino ad oggi non ho mai avuto nessuna malattia. I Miei denti e la Mia vista sono intatti. Fino a pochi anni fa chi Mi accompagnava doveva correre per riuscire a starMi dietro. Posso ancora camminare molto velocemente ma i medici Mi hanno imposto di non farlo. La ragione è che tempo fa sono stato operato perché sono caduto sul pavimento; Mi hanno messo un filo d’acciaio nell’osso dell’anca e poi lo hanno suturato. Questo è il motivo per cui Mi hanno prescritto di non camminare velocemente ma sono comunque in grado di seguire la Mia routine giornaliera e non rinuncio a nessuna delle Mie attività quotidiane. Do interviste ai visitatori e Mi muovo fra le file dando il darshan ai devoti. Non c’è assolutamente alcun ostacolo alle Mie attività di tutti i giorni. Ho già parlato molto a lungo e ci sarebbe ancora molto da dire, se volessi. Ho mantenuto il Mio corpo in perfetta forma per tutti questi anni. È possibile che, in questo processo, Io abbia provocato qualche fastidio ad alcune persone ma a loro non interessa perché fanno servizio a Me anche se cerco di dissuaderle. Oggi è il giorno di Durgâshtamî; domani e il giorno successivo sono rispettivamente le feste di Mahânavamî e Vijayâdashamî. Ho molto da fare. Devo parlare con i purohit (sacerdoti) che officiano lo Yajña (rito sacrificale) e ci sono anche altri appuntamenti importanti. Dopo aver finito il Mio lavoro, vi parlerò nuovamente. Non vi ho forse detto che gli studenti sono la Mia proprietà? Mi prendo tanta cura di loro. Se essi sono felici, lo sono anch’Io. Devo darvi un consiglio: non smettete mai di fare Nâmasmarana (la ripetizione del Nome di Dio). Fate costantemente il Nâmasmarana, ovunque vi troviate.
(Baba ha concluso il Discorso con il bhajan, “Hari Bhajana Binâ Sukha Shânti Nahi”)
Prashânti Nilayam, 21 ottobre 2004,
Sai Kulwant Hall
Festività di Dasara
Giorno di Durgâshtamî
(Tratto da: http://www.sssbpt.org/)