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La Leggenda di Sai Gita I

14 gennaio 2008

Il 7 giugno 2007, non appena Swami ebbe finito di pronunciare queste struggenti parole in una sessione privata riservata agli studenti ed allo staff della Sua Università, nell'Auditorium dell'Istituto calò un silenzio denso ed assolutamente impenetrabile. "Quando parlo di Sai Gita, non dovete pensare che Io cada preda dell'emozione," aggiunse Swami con voce malferma, come sopraffatta da un intenso sentimento. Vedere che dagli occhi del Signore stillavano simili emozioni fece avere un balzo al cuore a tutti i presenti. Dopo qualche istante di silenzio, in cui tutti restarono col fiato sospeso, in muta attesa del prossimo diamante di rivelazione divina, Swami, con tono molto dolce ma fermo, continuò: "Quando parlo di Sai Gita non sono profondamente straziato dal dolore. In effetti, Io non conosco la sofferenza, né sono mai preoccupato. Né ho mai rimorsi. Qui si tratta solo di Vatsalyam - Supremo Amore Materno, cioè l'amore spontaneo e puro che la madre prova per il suo nuovo nato, che è così puro, innocente e completamente dipendente solo dalla madre. Il neonato cerca esclusivamente il grembo della madre e sul suo viso potete vedere veramente l'immagine originaria di Dio. Man mano che il bambino cresce e diventa più forte ed intelligente, la sua purezza divina lentamente diminuisce e si diluisce, così l'amore perde di spontaneità, ma con Sai Gita è successo esattamente l'opposto."

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Quando Sai Gita arrivò a Prasanthi Nilayam aveva solo poche settimane. "Dècadi or sono, una volta in cui stavo tornando da Bangalore" - Swami ha detto nello stesso Discorso - "nella foresta vicina era in corso un'operazione 'khedda', cioè scavavano delle fosse e poi le ricoprivano superficialmente con dell'erba, allo scopo di catturare gli elefanti. Inoltre, in questa caccia ai pachidermi, suonavano i tamburi e facevano rumori assordanti. Quei poveri animali arrivavano in branchi e molti caddero nelle fosse, ma una piccolissima elefantina sopravvisse.

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Era senza madre, e piangeva disperata. Si fermò a cercare del cibo, completamente impotente, non sapeva che cosa fare."




Non appena si accorse di lei, Swami la accettò subito. Era come se la Madre Divina fosse stata in attesa della Sua preziosa figlioletta. "Mi misi un po' di miele sul dito e lei venne a leccarlo. Più tardi le detti del latte con una bottiglia e da quel momento in poi dimenticò sua madre. La battezzai Sai Gita."

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Con quel battesimo, per così dire, la 'bimba' era nata di nuovo nella veste di figlia speciale del Divino. Era così piccola! Swami ricorda: "Mi seguiva ovunque, in cucina, in sala da pranzo, nella sala dei bhajan, nel salotto... persino in bagno. È cresciuta completamente sotto le mie cure." Sai Gita era veramente la Sua gioia. Nei primi anni sessanta, quando l'agilità di Swami era tale che solo i devoti-atleti potevano tenergli il passo quando camminava, sia sulle sabbie del Chitravathi che nei giri tortuosi all'interno dell'Ashram, i momenti liberi che trascorreva con Sai Gita erano forse quelli preferiti dall'Avatar. "Pesava la metà di Swami" ricorda Sri Chidambaram Krishnan, che era un frequentatore abituale dell'Ashram già negli anni sessanta e che quindi ha goduto per molti anni della Divina vicinanza. "Era così piccola che Swami poteva portarla facilmente in macchina con Sé!", aggiunge. Swami Stesso in un recente Discorso ha menzionato che l'elefantina viaggiava con Lui seduta sul sedile posteriore della Sua automobile. Sai Gita voleva stare sempre con Swami, era come un neonato che non può sopportare la separazione dalla madre neppure per un secondo. E Swami gioiva di questo. La piccola stava sempre sotto un grande albero vicino alla camera da letto di Swami ed Egli poteva vederla dalla sua finestra. Ogniqualvolta aveva fame Sai Gita guardava in alto e urlava: "Ahh!" e quasi sempre Swami scendeva e faceva tutto ciò che era necessario per provvedere alle sue necessità.

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"Tutte le mattine e tutte le sere Swami era con lei", ricorda Sri Chidambaram. "Era molto obbediente a Swami! Quando la chiamava Sai Gita correva subito da Lui. Egli se la teneva al fianco - oppure giocava con lei - muovendole la proboscide, dandole delle piccole pacche affettuose o accarezzandola, oppure a volte Swami correva via e poi si divertiva un mondo a vedere la piccola quadrupede che gli saltellava dietro con le sue fragili zampe, cercando di raggiungerLo. Era una vista deliziosa, senza alcun dubbio. Per i devoti era una parte eccitante del loro soggiorno a Prasanthi Nilayam."

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La routine di Sai Gita a quei tempi era strettamente legata a quella di Swami. La sua innata nobiltà d'animo, palese fin dalla sua prima infanzia, faceva sì che ogni mattina per prima cosa ella essa facesse il giro del Mandir nove volte! Subito dopo la piccola si prostrava davanti all'idolo di Ganesha, che a quei tempi si trovava davanti al Prasanthi Mandir, e poi aspettava Swami. Nel momento in cui la porta si apriva e Swami scendeva, Sai Gita quasi sempre si inchinava ai Suoi Piedi ed emetteva un suono particolare che stava a significare che voleva che Swami la accarezzasse: cercava il Suo Amore e le Sue benedizioni. Poi Swami le dava alcune banane ed altra frutta e restava lì accanto a lei, permettendo solo ai bambini, e mai agli adulti, di darle qualcosa da mangiare. Molti piccoli stavano in attesa di questa opportunità ed erano eccitatissimi quando Sai Gita accettava le banane da loro, sotto la costante supervisione di Swami. Dopo aver pranzato con la sua 'Mamma', Sai Gita si avviava verso il fiume Chitravathi per giocare sulla sabbia e saltare in acqua a rinfrescarsi, accompagnata dal suo guardiano, che era un bambino di otto anni. La cucciola d'elefante giocava gioiosamente con la sabbia del Chitravathi e si gettava addosso del fango. Poi giocava a pallone con il bambino che era anche il suo allenatore. Egli tirava la palla e Sai Gita correva a riprenderla e la riportava indietro nella proboscide ma talvolta, quando era di umore 'sportivo', prendeva la palla e correva via! Il bambino/guardiano doveva correrle dietro ma, invece di godersi il gioco e la bellezza del momento, sfortunatamente, si arrabbiava con l'indisciplinata e la puniva con un bastone o le tirava persino la fragile proboscide. A quei tempi Sai Gita era molto piccola e pesava solo pochi chili. Ma la storia non termina qui! I devoti che erano testimoni dei maltrattamenti invariabilmente andavano da Swami e Gli dicevano: "Swami! Quel bambino ha gettato Sai Gita nella sabbia!" E Swami rispondeva sempre: "Portatelo qui! Dev'essere punito!" Ma quando il ragazzo chiedeva perdono e prometteva di non farlo mai più Swami lo lasciava andare. Due giorni dopo però il piccolo guardiano picchiava Sai Gita di nuovo. Sai Gita correva al Mandir e cercava Swami, ovunque Egli fosse, nella stanza delle interview, nella sala dei bhajan o nel Mandir. Il guardiano le correva dietro lamentandosi della sua 'indisciplina' . Swami, la Madre che sa tutto, lo rimproverava e poi consolava la Sua figlioletta adorata. Anche quando Sai Gita crebbe - ed avrebbe potuto reagire a qualsiasi maltrattamento del suo custode - non lo fece mai. Tutto ciò che faceva era correre dalla sua Mamma Sai a cercare rifugio.

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"Quelli erano tempi d'oro" ricorda Sri Chidambaram. "Non c'erano Darshan... solo interview! Swami dava interview a tutti. Nei giorni feriali i devoti erano molto pochi - talvolta neppure dieci! - e chiunque arrivava per primo e si sedeva veniva chiamato per primo e poi tutti gli altri entravano, uno dopo l'altro, nell'ordine in cui erano arrivati. A volte la stessa persona riceveva interview per giorni e giorni. Oppure, se Swami voleva evitare qualche persona, non la chiamava affatto. Ma durante le feste, quando le persone arrivavano a centinaia, Swami chiamava tutti. Chi non era riuscito ad avere l'interview nei giorni normali tornava in occasione di qualche festa e poteva esser certo che l'avrebbe ottenuta." I devoti allora erano estremamente fortunati, ma la 'devota' più fortunata di tutti era Sai Gita, perché Swami le dedicava tutti i Suoi pochi momenti liberi. Proprio come al mattino, Egli la coccolava e la cibava anche al pomeriggio e lei attendeva di poterGli toccare i Piedi e di farsi accarezzare. Era come se a Sai Gita fossero riservate due speciali interview ogni giorno, a parte tutti gli altri appuntamenti privati con Swami.





Per gli abitanti dell'Ashram Sai Gita era una continua fonte di gioia. Essa era il più delizioso cucciolo dell'Ashram e tutti volevano coccolarla ed accarezzarla. "Nei primi sei mesi," dice Sri Chidambaram, "tutti la potevano portar fuori e giocare con lei. Non faceva mai male a nessuno. Swami permetteva che tutti la accarezzassero. Lei a quei tempi era disponibile per tutti, proprio come lo era anche Swami. Essi erano entrambi così accessibili. Potevamo dormire nel portico del Mandir e talvolta anche nella stanza delle interview! Non dimenticherò mai quegli anni meravigliosi." Vivere nell'Ashram allora, però, non era una passeggiata nel parco, anzi, era una vera e propria avventura. Non c'era acqua. Una famiglia doveva stare all'ombra di un albero e non poteva avere più di tre o quattro secchi d'acqua per una giornata intera. C'erano pochissime case, anzi non erano nemmeno case ma stanze - una camera singola senza bagno ed un buco nel muro come finestra - ed in aggiunta a questo non c'era neppure l'elettricità . Dopo il tramonto era semplicemente buio ovunque. Nella stanza a volte entravano a dormirci anche dei serpenti e si piazzavano sotto la giara di terracotta. Ma non facevano mai del male a nessuno. "Ma ovunque si trovasse, Swami era sempre così amorevole" ricorda ancora Sri Chidambaram. "Tutti potevano andare ad urlarGli qualcosa davanti alla Sua stanza: "Swami, sto partendo per tornare a casa. Per piacere, vieni a benedirmi!" E Swami quasi sempre lo faceva e parlava con i devoti con molta dolcezza. È solo per il Suo Amore che nonostante le molte difficoltà la gente ha sempre desiderato venire - e stare - a Puttaparthi. Camminavamo per l'Ashram senza scarpe e spesso ci pungevamo con le spine. Una volta persono Sai Gita si fece male con una spina. Era ancora una cucciolina e aveva le zampe molto tenere perciò cominciò a piangere dal dolore. Un devoto che si trovava sul posto andò da lei e gliela estrasse dal piede. Sai Gita collaborò pienamente. Nell'Ashram per Sai Gita era come essere in una grande famiglia, tutti l'amavano e volevano giocare con lei." Certamente questo è tutto vero, comunque Sai Gita apparteneva solo a Swami e stava davvero bene solo quando era con Lui.


(Fine Prima Parte; continua)

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[Tratto da 'Heart2Heart' , il giornale elettronico di RadioSai]