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Athi Rudra Mahâ Yajña

25 agosto 2006

16 agosto 2006 – 8° giorno della manifestazione



Il 16 agosto, settimo giorno dell’Ati Rudra Mahâ Yajñam, è coinciso proprio con le celebrazioni dello Shrî Krishnajanmâshtamî (il Compleanno del Signore Krishna). Swami, alle 7.20, è entrato nel Sai Kulwant hall e, dopo aver compiuto un giro completo per il darshan, si è seduto sulla Sua poltrona per supervisionare gli eventi in corso. Il programma della giornata odierna ha avuto inizio alle 5 e, quando Baba è arrivato, i ritvik (sacerdoti officianti) avevano già terminato l’Aruna Pârâyanam, il Mahânyasam e il Pañchâmrita Abhishekam e stavano cantando il Rudram. Verso le 7.50, gli studenti di Swami erano arrivati in processione dal “gokulam” (fattoria) di Swami conducendo le Sue mucche, i Suoi cervi, e…la pupilla dei Suoi Occhi, ovvero Sai Gita. Quando Sai Baba ha scorto la processione e i Suoi figli del regno animale, ha subito chiesto di esser portato vicino al cancello principale, è sceso fino al cancello della statua di Râma attraverso lo Yajña mantapam (il padiglione dello Yajña), fra gli homa kundam (bracieri per le offerte sacrificali), e ha riversato il Suo Amore su di loro. Per prima cosa, ha dato da mangiare all’ultimo arrivato nel gokulam, un vitellino di 5 giorni: preso un poppatoio pieno di latte, si è messo amorevolmente a osservare l’animaletto che succhiava gioiosamente il latte con avidità. Vedere le lacrime scendere dagli occhi di Sai Gita mentre Swami le dava da mangiare strappava il cuore; era prova dell’amore che intercorre fra il Signore e la Sua elefantessa. È stata poi la volta di ricevere la grazia di Swami per un cervo, a cui hanno fatto seguito le sane e possenti mucche; per loro c’erano mele e banane. Nel frattempo, il gruppo bhajan degli studenti cantava, a voce spiegata, bhajan appassionati dedicati a Krishna. Dopo aver profuso il Suo Amore e la Sua Grazia, Swami è tornato a sedere sulla Sua poltrona sul palco centrale e, dopo alcuni minuti, ha continuato a riversare il Suo Amore, i cui destinatari, questa volta, sono stati i fratelli Khan che la sera precedente avevano affascinato il pubblico con una sublime esibizione musicale. Egli è poi entrato nella stanza delle “interview” mentre i bhajan continuavano. Al Rudram homam ha fatto seguito il Sai Gâyatrî homam, un “recital” di brevi brani tratti dai Veda e infine il Nâdasvaram. Verso le 9.10, Swami è uscito e si è nuovamente seduto, ha assistito al Mahâmangala Ârati dopodiché si è ritirato nello Yajur Mandiram.

Gli eventi pomeridiani hanno avuto uno svolgimento simile a quelli del giorno precedente. Alle 15.18 Swami, annunciato nel Kulwant hall dalla musica del Mangala Vadyam, è uscito dallo Yajur Mandiram; alle 15.25, mettendosi a sedere, ha subito chiesto che si tenessero i discorsi e shrî Vinay Kumar ha presentato gli oratori della giornata di cui il primo, shrî Nirbhayananda Saraswati capo dell’âshram Ramakrishna-Vivekânanda di Bangalore, aveva il compito di spiegare il significato dell’Ati Rudra Mahâ Yajñam. Nel 2004, egli parlò a Barcellona al World Parliament of Religions (Parlamento Mondiale delle Religioni). Oggi ha iniziato tributando il proprio omaggio a Swami che, da solo, ha ottenuto ciò che nessun’altra organizzazione, nessun governo o Paese sono mai riusciti a ottenere. Ecco, in sintesi, quanto ha detto:

“Come attuare il concetto di Vasudeiva Kutumbakam (il mondo intero come una sola famiglia) sembra essere un quesito da un milione di dollari persino per fondazioni quali la “Lega delle Nazioni”, le “Nazioni Unite” ecc., ma, quando si entra nel villaggio di Puttaparthi, è evidente che ciò è possibile dato che si può constatarne la realizzazione. Bhagavân Shrî Sathya Sai Baba ha fondato varie istituzioni proprio con questa intenzione. Senza porre altro tempo in mezzo, mi sia consentito affrontare l’argomento che mi è stato assegnato: Il Rudram è una sezione dello Yajur Veda ed è diviso nel Krishna paksha, parte nera, e nello shukla paksha, parte bianca; esso si svolge nel Taitreya shâkhâ. Per la precisione, lo si trova nel 5° e 7° prapataka del Vaishvadeva kânda. Quella è la fonte del Rudram che viene qui cantato che è prettamente lirico e musicale ed eleva spiritualmente essendo di natura Divina. Una volta uno studente del saggio Yâjñavalkya gli chiese “Come si può raggiungere l’immortalità?” al che questi rispose cantando il shata Rudra volendo così intendere che 11 ritvik (sacerdoti officianti) che cantano il Rudra 11 volte bastano a raggiungere l’immortalità. L’Ati Rudra Yajñam consiste nel cantare 14.641 volte, il che avviene quando 121 persone cantano il Rudram 11 volte al giorno per 11 giorni. Shatânanda Rishi afferma che l’Ati Rudram può procurare virtù, grazie, magnetismo, ricchezza e pace nel mondo, può aumentare la longevità della vita nonché migliorare lo stato di salute sociale, politico ed economico. Il Rudra allontana le difficoltà che sorgono nella vita.

Il Signore Dakshinâmûrti, una forma del Rudra, ha un modo unico di insegnare. I suoi studenti arrivano da Lui con dei dubbi, Gli si mettono a sedere davanti ed Egli chiarisce loro ogni dubbio con il silenzio! Dopo qualche tempo, essi se ne vanno avendo chiarito tutto.

Una definizione metafisica del Rudra, presente nei Veda, chiarirà facilmente i dubbi della mentalità scientifica odierna: la scienza spirituale è l’essenza di ogni scienza giacché spiega la Verità stessa e non le manifestazioni della Verità che le altre scienze trattano. Il Rudra viene descritto come Sat-Cit-Ânanda Svarûpa (Manifestazione di Essenza-Coscienza-Beatitudine), è al di là della mente ragion per cui non esistono parole in grado di descriverLo;

esso entrò nell’influsso di Mâyâ e venne perciò avvolto nelle spire del tempo, dello spazio e della causalità. Shiva, Vishnu e Devî: la creazione dipende da questi tre. Shiva rappresenta il tempo. A Ujjayinî, Egli è conosciuto come Mahâkâla (il Signore del tempo). La mortalità dipende da Lui ed è pertanto certo che, quando il Signore viene adorato, nel mondo c’è un calo di mortalità ed âyus kâma, un miglioramento dello stato di salute, economico, sociale e spirituale. Si verifica, quindi, la Pace universale.”

Il secondo oratore è stato shrî Krishnan Bhagwat, uno studente di MBBS, ex allievo del Loka Sevâ Trust Institution di Alike, che è sotto la supervisione di Swami. Egli ha parlato del ruolo dei giovani nella vita attuale sottolineando che, al centro della violenza, esiste sempre un disagio giovanile aggiungendo che occorre che essi si trasformino seguendo la strada di Sai; allora e soltanto allora, ci sarà Pace universale. Parlando dei ragazzi, ha anche usato la descrizione che ne fa Baba paragonandoli a Hanuman in quanto a coraggio, valore e forza ma anche a devozione e umiltà. Ha quindi affermato che, come suggerito da Baba, i giovani dovrebbero seguire le orme di Hanuman.

Quindi Swami ha chiamato uno degli studenti del dottorato di ricerca dello Shrî Sathya Sai Institute of Higher Learning, Sanjay Mahalingam, chiedendogli di parlare. Il giovane ha così fatto un discorso logico ben impostato e ben articolato sulla Verità che sta dietro il Sé, l’Individuo. È incredibile il fatto che il discorso fosse improvvisato: è stata un’evidente dimostrazione di chiarezza di pensiero. Egli ha cominciato con la storia (già narrata da Baba) di una conversazione, fra Vyâsa e un insetto, che mette in luce la morale secondo cui l’uomo e gli animali sono davvero uguali per quanto riguarda cibo, famiglia, morte, nascita, paura ecc. Il prosieguo del discorso è stata un’analisi di come gli esseri umani possano differire da questa analogia alquanto banale. I quesiti fondamentali, come “Chi sono?”, “Da dove vengo?”, “Dove vado?”, rimangono oscuri e misteriosi. Il giovane ha poi raccontato una storia che ha messo in evidenza il fatto che quante più cose impariamo circa l’universo e la creazione tanto più diventiamo ignoranti e che il segreto per comprendere è “conosci te stesso e conoscerai tutto”. Citando poi Âdi Shankara, ha proseguito mostrando come sia difficile ottenere una nascita umana e come dovremmo farne pienamente buon uso e comprendere il Sé al fine di ottenere la Liberazione. Il tempo inghiotte tutto e tutto è vittima del suo assalto furioso, ogni cosa è effimera, e quindi, nel poco tempo che abbiamo a disposizione, dobbiamo concentrare l’attenzione sull’Essere Cosmico che è al di là del tempo e dello spazio: solo allora potremo trascendere anche il tempo. L’essenza di tutta la spiritualità, i messaggi di tutti i Maestri spirituali non sono altro che un’unica cosa e si tratta di una singola sillaba che racchiude tutta la spiritualità: “Io”.

La realizzazione del Sé è la più grande delle Verità. La domanda che balza dunque alla mente è: “Che cosa mi occorre per conoscere Me Stesso?” La risposta viene data dalle Upanishad: il neti (“non questo”), che mette in luce il fatto che, fintantoché esistono il conoscitore, la cosa conosciuta e l’atto di conoscere, il Sé non è ancora stato raggiunto. Perciò noi non siamo il corpo. La Kena Upanishad tiene vivo lo spirito di indagine e chiede al ricercatore di domandarsi quale sia la vera fonte di tutto. L’oratore ha concluso facendo riferimento al sacrificio ed affermando che dovremmo offrire ogni nostro desiderio sull’altare sacrificale e desiderare ardentemente questa conoscenza ultima della Verità.

Swami è poi entrato per alcuni minuti nella stanza delle “interview”, da cui è uscito per benedire i presenti con un Suo Discorso Divino dopodichè sono stati cantati i bhajan con grande entusiasmo e fervore. Baba è rimasto seduto ascoltandone alcuni e si è ritirato, verso le 18,15, nello Yajur Mandiram.