SATYOPANISHAD

16 agosto 2003

D. 109 – Swami, che cos’è la mâyâ o illusione?

Bhagavân – Non esiste alcun tipo d’illusione. L’unico ad esistere è il Brahman, lo Spirito cosmico. La mâyâ è invece frutto della vostra immaginazione. C’è solo il Brahman e null’altro. L’attaccamento al corpo è l’illusione, mâyâ o bhrama.
Un piccolo esempio. Ecco qui un enorme albero, che proietta la sua ombra intorno. I grandi rami e il fogliame creano l’ombra. Quando la luce cade sull’albero, vedete l’ombra sottostante. Fateci caso: sopra l’albero e nella sua cima, non vi è ombra. Ciò significa che non può esserci ombra nella luce. Dunque, i rami e le foglie sono la causa dell’ombra sottostante. Metaforicamente, la luce è il Brahman, l’albero è la vita e i rami e le foglie sono i vostri attaccamenti e desideri. Essi sono responsabili dell’ombra dell’illusione; senza foglie e rami, infatti, l’ombra è inesistente. Dunque, l’illusione è dovuta unicamente alla vostra immaginazione.


D. 110 – Swami, come sfuggire alla mâyâ, l’illusione?

Bhagavân – Non c’è mâyâ! È una vostra creazione. Allora, perché volete liberarvi di ciò che non esiste? Di notte, vedendo una fune, la scambiate per un serpente e provate grande timore. Poi, indagando, scoprite che ciò che sembrava un serpente era, in realtà, soltanto una fune. Qui dovreste notare due cose: non c’è né un serpente che sparisce né una fune che arrivi proprio per darvi particolare sollievo. Si è sempre solo trattato di una fune. Siete voi ad aver creato tale illusione. Allo stesso modo, la realtà è il Brahman o Âtman; tutto il resto è bhrama, illusione o immaginazione.


D. 111 – Swami, spesso si dice che nessuno può sfuggire alla mâyâ. Tutti sono vittima della sua influenza. L’uomo, quindi, ne è soggetto. Allora, Swami, chi ha compreso che cos’è la mâyâ e ne è fuori, com’è possibile che vi ricada?

Bhagavân – Pensa a questa situazione. Quando è buio, che ne è della luce? Dove va? E quando è giorno, dove va il buio? L’assenza di luce è il buio. Non è che l’oscurità vada da qualche parte. Quando c’è la luce, il buio non esiste. Quando la luce svanisce, ecco che il buio ricompare. La luce rappresenta la saggezza e il buio l’ignoranza o illusione, dette anche avidyâ. Per disperdere l’oscurità, l’unica cosa da fare è accendere una luce. La domanda è: come può, la tenebra dell’ignoranza, ripresentarsi a chi l’ha già dissipata attraverso la luce della saggezza?
Vi faccio un piccolo esempio. Molti viaggiano in autobus. Quando l’autobus aumenta di velocità, lungo le strade dissestate, la polvere viene spinta lontano, dietro il mezzo; ma, quando l’autobus improvvisamente si arresta, tutta la polvere sollevata dalla frenata verrà proiettata contro il veicolo. La vita umana è simile all’autobus: finché l’uomo percorre costantemente la via della sâdhanâ, la polvere dell’illusione resterà alle sue spalle; ma quando l’uomo interrompe la sâdhanâ, allora sarà raggiunto dalla nuvola di polvere dell’illusione! Quindi, è la disciplina spirituale che salva l’uomo dell’illusione. Nell’attimo in cui interrompete la vostra disciplina spirituale, diventate nuovamente vittime dell’illusione. Perciò non siate mai troppo sicuri di esservi liberati dall’illusione. È la disciplina spirituale che vi aiuta.


D. 112 – Swami, l’illusione è una percezione non spirituale, terrena. Identificarci con ciò che non siamo è illusione. A dire il vero, l’‘Io’ di cui parliamo spesso, altro non è se non il Sé. Nient’altro. Come riconoscere e sperimentare tale verità? Ti preghiamo di darci spiegazioni in merito, Swami!

Bhagavân – A tutti gli effetti, l’Io è solo e soltanto l’Âtma o Brahman. Si chiama “ricerca” il sincero tentativo di conoscere questa Verità. La ricerca del Sé è assolutamente essenziale nel sentiero spirituale. Pûjâ, nâmasmarana, dhyâna, tapas, yajña, yâga e simili rituali non sono propriamente spirituali, sono buone attività che servono a purificare il cuore. La vera spiritualità consiste, veramente, nella ricerca del Sé. Con ciò non intendo dire che dobbiate smettere tutti i rituali e le azioni sacre. Tuttavia, dal Mio punto di vista, la ricerca del Sé è la cosa più importante. Poiché non avete persone dotate di adeguata esperienza in questo campo della conoscenza, persone che possano insegnarvi, trovate arduo e difficile procedere in questa direzione.
Se poniamo a un gruppo di persone la domanda: “Chi sei?”, ognuno vi darà una risposta diversa. “Sono un indiano”, non è la risposta corretta, perché potresti trasferirti in America e diventare americano. Se andate a vivere in Russia, diventate russi, e via dicendo. L’India è il paese dove siete nati, ma voi non siete quel paese. Dire, quindi: “Sono indiano”, è sbagliato. Un altro risponde: “Sono un ingegnere!” Neppure questa è la risposta giusta, perché indica solamente una professione, ma tu non sei il tuo lavoro. Altri rispondono, in modo diverso, con il nome proprio: “Sono Ram, sono Shyam”. Ma il nome proprio vi è stato assegnato alla nascita dai vostri genitori. Voi non siete nati con un nome, né ce l’avevate scritto in fronte alla nascita. Infatti, potete cambiarlo a vostro piacimento.
Un altro potrebbe rispondere: “Sono un giovane”, o “Sono un anziano”, oppure “Sono un ragazzo”, e così via... Anche questo è sbagliato, perché le parole adolescente, giovane e anziano indicano solo degli stadi dell’età nella vita di un uomo, mentre voi rimanete sempre ciò che siete, indipendentemente dal passare del tempo. Prima eravate un ragazzo, poi un uomo, quindi un padre e infine un nonno. Siete sempre stati la stessa persona. Allora, come potete identificarvi con ciò che muta nel tempo? Altri dicono: “Sono una persona alta”, “Sono un bell’uomo” o “Sono magro”. Ma tutte queste non sono che caratteristiche fisiche, mentre voi non siete il corpo, che è semplicemente uno strumento. Quando infatti siete immersi nel sonno profondo, il vostro corpo è inerte e statico, e voi non siete consapevoli neppure della sua esistenza. Voi non siete neppure la mente.
Se pensate di essere la mente, conducete una vita basata sull’ego e sull’orgoglio. Neppure la mente esiste nel sonno profondo. Inoltre, non siete neppure l’intelletto. Voi potete essere intelligenti, ma non siete l’intelletto. L’intelletto è un dono che Dio vi ha fatto per discriminare, giudicare, decidere ed essere prudenti. Tuttavia, quando l’intelletto è egoico, si parla di ‘discriminazione individuale’. La discriminazione che dovreste possedere è invece quella fondamentale, universale, buona per tutti. Una volta scoperto che neppure l’intelletto esiste nel sonno profondo, capirete che non siete neppure l’intelletto, che è solo uno strumento come il corpo e la mente. Allora, alla domanda: “Chi sei?”,qual è la risposta corretta? È: “Io sono l’Âtma”. Il Sé è l’eterno testimone, Colui che sperimenta tutto. Solo Esso esiste nei tre stadi: veglia, sonno e sonno profondo. Qualunque nome abbiate, qualunque sia la vostra nazionalità, età e professione, voi siete l’eterno Sé. Questa è la risposta giusta nel sentiero della ricerca del Sé. Questa è vera spiritualità.


D. 113 – Swami, che cos’è il Vedânta?

Bhagavân – Il Veda è dualismo. Il Vedânta è non dualismo. Non c’è nulla oltre al Vedânta. Il latte diventa cagliata, da cui si può ottenere il burro. Da quest’ultimo potete ricavare il ghî. Questo è lo stadio finale del latte. Esso non può subire ulteriori trasformazioni. Quindi il latte, passando attraverso i vari processi di lavorazione, diventa ghî. Il latte simboleggia il dualismo, il ghî il non dualismo.


D. 114 – Swami, le tre scuole filosofiche vedantine (dvaita, dualismo, vishishtâdvaita, monismo qualificato e advaita, monismo) sono contraddittorie secondo Te? Sostengono concetti opposti fra loro?

Bhagavân – Così si pensa e si agisce generalmente, ma, a dire il vero, è diverso. Di fatto, le tre filosofie sono integrate, sono l’una la continuazione dell’altra. L’una conduce all’altra. Un esempio: nella canna da zucchero trovi il succo. C’è la polpa e il succo. Questo è lo stato del dualismo. Ora, si può estrarre il succo separando la polpa dalla canna. Il succo, che è la parte più pregiata e costituisce la vera essenza, non si mantiene a lungo. L’estrazione del succo, staccando la polpa dalla canna, rappresenta il monismo qualificato. Il succo viene purificato, raffinato e trasformato in zucchero, che dura per sempre. Questo è lo stato del monismo o non dualismo. Puoi usare lo zucchero come ti pare.


D. 115 – Swami, non si può eludere il destino o gli effetti del fato. Le cose sono prestabilite e gli eventi accadono in conseguenza ad esse. A causa della ineluttabilità della vita, si soffre e si debbono affrontare numerose avversità. Come si può uscirne?

Bhagavân – Nella vita, tutto è soltanto il riflesso del vostro stesso pensiero e delle vostre stesse azioni compiute nella o nelle vite precedenti. Voi fate allegramente finta che nessuno sappia come agite, ma Dio in voi conosce perfettamente i vostri pensieri, sentimenti e azioni. Dio è ovunque. Non potete nasconderGli nulla. Un giorno o l’altro, dovrete affrontare le conseguenze delle vostre azioni. Questa è la suprema verità.
Voi date la colpa agli altri ritenendoli responsabili dei vostri problemi: vi sbagliate completamente! Le vostre azioni sono l’unica causa del bene e del male che sperimentate nella vita. Dio è l’eterno testimone delle attività umane. Egli ha creato questo mondo e lo ha dato all’uomo da usare, ma alla condizione che l’uomo subisca le conseguenze delle proprie azioni. Dio è come un postino. A Lui non interessa il contenuto delle lettere che consegna ai destinatari. Ciò riguarda solamente il rapporto che esiste fra voi e il mittente della lettera. A Dio non interessa. Quando ricevete una partecipazione di nozze, non fate gli auguri al postino, vero? Se ricevete una lettera di minacce, non ve la prendete con il postino, il cui unico compito è consegnare lettere. La preghiera vi aiuta a sopportare le tensioni e i problemi con coraggio. La preghiera sentita, la devozione profonda, la fede salda, il pentimento sincero, l’aspirazione costante e l’amore sommo per Dio possono modificare la sequenza degli avvenimenti nella vita e perfino mutare il volere divino. Guardate la vita di Mârkandeya. Il destino gli aveva concesso soltanto sedici anni di vita, ma la sua intensa devozione per Shiva lo rese immortale. Dio dovette rivedere e cambiare i Suoi piani in risposta alle preghiere di Mârkandeya.
Un altro esempio. Se un carcerato, che sta scontando una pena in base alle leggi del codice penale, si comporta bene e dimostra di seguire le regole, le norme e il codice disciplinare imposti dalla legge, avrà uno sconto sulla pena per buona condotta. Immaginate che una persona accusata di un grave crimine non possa più ricorrere in appello in alcuna corte, neppure a quella suprema: quando la morte gli sembra ormai inevitabile, il Presidente dell’India, per grazia o altre ragioni speciali, può sempre revocare la pena capitale! Similmente, sebbene siate destinati a soffrire e ad affrontare le difficoltà a causa delle vostre azioni passate, Dio, in risposta alla vostra sincera preghiera e pentimento, cambierà il corso della vostra vita e vi salverà dalla sofferenza. Dio concede una grazia speciale se è compiaciuto dalla devozione sincera.


D. 116 – Swami, la Bhagavad Gîtâ ci chiede di rinunciare ai frutti delle nostre azioni, siano essi buoni o cattivi. Poiché raramente compiamo buone azioni, c’è ben poco o quasi nulla da offrirTi. Inoltre, pensiamo che sia sbagliato offrirTi il male. Che fare?

Bhagavân – Dovete offrire a Dio sia il bene che il male (compiuti). Mai attaccarsi ai risultati delle proprie azioni, belli o brutti che siano. Dio trascende questi due opposti, poiché Egli è non duale. L’acqua, pura o impura che sia, una volta mischiatasi nel Gange non ne intaccherà la santità. La santità non può diminuire. Allo stesso modo, qualunque cosa gettiate nel fuoco, si brucia. Tuttavia il fuoco non viene danneggiato o inquinato dagli oggetti che ci avete gettato. Quindi, se offrite sia le buone che le cattive azioni a Dio, alla fine ne trarrete beneficio.
Un piccolo esempio. Supponete di avere una banconota da 100 rupie in tasca e che abbiate bisogno di uscire per sbrigare qualche faccenda. Starete molto attenti a non perderla e terrete la mano sulla tasca se andate in un bar a bervi un caffè, per paura che qualcuno ve la rubi. Anche se andate al cinema, farete attenzione, ma, se la depositate in una banca, verrà accreditata sul vostro conto e sarà al sicuro. Allora non avrete più di che preoccuparvi. Se offrite a Dio tutto il bene compiuto, senza attribuire alcun valore alle conseguenze, accade che sarete umili e semplici. In questo caso non c’è credito. Ringraziate Dio, pieni di riconoscenza e gratitudine. Invece se reclamate le conseguenze dei vostri atti meritori, diverrete egoistici e orgogliosi, perché penserete di esserne gli artefici. Quindi, è giusto offrire a Dio le conseguenze del bene compiuto.
E per quanto riguarda le cattive azioni? Si possono offrire a Dio? Potreste pensare che non sia corretto. Tuttavia, vedrete che alla fine ciò vi gioverà. Vi faccio un piccolo esempio. Supponete di avere una banconota da 500 rupie, vecchia, sporca e un po’ lacera. Non la gettate via perché tenete al suo valore, ma non potete spenderla perché nessuno la accetterebbe. Siete quindi nella condizione di non poterci comprare nulla. Non potete dunque né buttarla via né usarla. Se, però, la depositate in banca, essa verrà accettata e sostituita con una nuova! Una sola cosa è necessaria: che i numeri sulla banconota siano chiaramente leggibili, altrimenti non ve la cambieranno. Similmente, se date a Dio la banconota delle vostre cattive azioni e conseguenze, Egli esaminerà il numero della vostra devozione e vi darà in cambio una banconota valida o vi cambierà. Dio è la Banca. Soltanto Lui può accettare le vostre tendenze e azioni negative per cambiarle in positive e restituirvele. Quindi, per il vostro bene finale, sia le cose buone che cattive devono essere offerte a Dio.


D. 117 – Swami, tutte le esperienze sono dualistiche, perché sono vissute dalla mente. Swami afferma che la mente è una scimmia pazza. Sia il piacere che il dolore sono dovuti alla mente. Come dobbiamo ‘uccidere’, o annullare, la mente?

Bhagavân – La mente non porta mai sofferenza. Tutto dipende dal modo in cui voi la usate! Essa è dappertutto e assume la forma di ciò con cui entra in contatto. Essa è immortale. Perciò si dice: Manomûlam idam jagat: la mente è all’origine del mondo. Pertanto, l’annullamento della mente non va bene. Ciò che dovreste desiderare è fondere la mente nel Divino (mano-laya).
Come un fiume s’immerge nel possente oceano, la mente dovrebbe immergersi nel Sé. La mente arresa a Dio diventa Ramadas, serva di Dio. La mente piena di desideri è invece schiava dei sensi, kamadas. Non dovreste permettere alla mente di essere attratta da ciò che, in telugu, chiamiamo balimi, il potere, kalimi, i soldi e da celimi, le compagnie. Essa dovrebbe riempirsi di pensieri divini, per potersi unire finalmente a Dio.


D. 118 – Swami, c’è qualcuno che abbia ottenuto tadâtmya, l’unione con Dio? Si dice che l’identificazione totale con Dio sia l’ultimo gradino della spiritualità.

Bhagavân – Sì. Molti hanno raggiunto lo stato di totale identificazione con Dio. Dovrebbe essere l’obiettivo di un devoto. C’era un occidentale di nome Hen, dotato di grande intelligenza. Il celebre scienziato Darwin fu il suo maestro. Hen cominciò a vedere il suo maestro pensando a lui costantemente. Darwin si concentrò su una stella e sperimentò certe vibrazioni. Anche il suo discepolo raggiunse tale stato.
Ramakrishna Paramahamsa, nell’adorazione di Shrî Râma, si identificò con Hanuman e si narra che gli spuntò una piccola coda.
Nel grande poema epico Râmâyana, Bharata implorò Râma di tornare per regnare su Ayodhyâ. Glielo chiese più volte, ma Râma rifiutò perché aveva promesso al padre di seguire i suoi ordini e di rispettare, a tutti gli effetti, il dharma. Alla fine del periodo d’esilio, Bharata, non vedendo tornare Râma nel giorno stabilito, fece preparare una pira e stava per immolarsi a causa dell’angoscia per la separazione dal fratello. Râma, per sventare la tragedia e per garantirgli che avrebbe mantenuto la promessa del ritorno, inviò Hanuman.
Hanuman volò a Nandigrâma, dove viveva Bharata. Mentre atterrava, Hanuman vide che cosa stava accadendo: Bharata stava girando intorno alla pira ardente, pronto a gettarvisi. Hanuman pensò: “Perché Râma è qui? Come mai sta camminando intorno alla pira?” Evidentemente, Bharata aveva preso le sembianze di Râma poiché meditava su di Lui costantemente. Perfino Hanuman si era confuso! Questo è il significato della massima vedica: Brahmavid brahmaiva bhavati, chi conosce il Brahman, diventa il Brahman stesso.
Verso la fine del Râmâyana, dopo aver ucciso Râvana, Râma tornava ad Ayodhyâ con la consorte Sîtâ e Lakshmana sul Suo carro, guidato dallo stesso Bharata. Mentre il carro si avvicinava alla città, la gente li accolse festosamente con ghirlande di fiori. Anche quelle persone furono tratte in inganno dalla straordinaria somiglianza di Bharata con Rama. Infatti, stavano per cingere di fiori il collo di Bharata, che, a mani giunte e senza parole, indicò chi doveva essere inghirlandato. Questo è un altro esempio di totale identificazione, tadâtmya.
Swami Samartha Ramadas, il guru dell’imperatore Shivâjî, per un certo periodo assomigliò perfettamente a Râma nell’aspetto, nel modo di camminare con arco e frecce sulle spalle. Alcuni, stupefatti, gli chiesero: “Swami, se sei davvero Shrî Râma, perché non abbatti l’uccello che sta sul ramo di quell’albero lontano?” Ramadas lo trafisse al primo colpo. Esso cadde a terra, morto. Allora, qualcuno disse: “Swami, hai ucciso quell’uccello senza alcuna valida ragione. Esso non ti aveva fatto alcun male. Râma è famoso per la Sua compassione e non avrebbe mai ucciso senza motivo. Puoi riportarlo in vita ora?” Lo Swami raccolse l’uccello fra le sue mani e pregò perché tornasse in vita. Poco dopo le ali cominciarono a muoversi e alla fine l’uccello spiccò il volo! I presenti inneggiarono allo Swami, con il grido: Jai! Samartha Ramadas ki jai! (La nostra lode a Samartha Ramadas!) Anche questo è un esempio di totale identificazione.


D. 119 – Swami, Tu parli di anubhavajñânam, conoscenza pratica. Noi riteniamo di sapere molte cose. Non è forse saggezza?

Bhagavân – No di certo! Ma il vero peccato è che non vi rendete conto di non sapere! Sapete molto poco e anche quello è, al massimo, di poca importanza, mentre voi pensate di sapere tutto. Ciò che studiate è quasi insignificante ed è un grave errore pensare di sapere tutto! Ed è anche insensato. C’è molto da conoscere. Ciò che voi sapete non è che una parte infinitesimale, non certo la conoscenza integrale.
Guardate! Che cos’è questo? Come vedete, è un fazzoletto. (Swami chiude il fazzoletto nel pugno lasciandone intravedere solo un pezzetto – N.d.T.). È solo un pezzo di cotone. Non è un fazzoletto intero. (Poi Swami estrae il fazzoletto e lo dispiega completamente nelle Sue mani – N.d.T.). Ora, che cos’è? Subito risponderete: “È un fazzoletto!” Vedendone solamente una piccola parte, non potete dire di che cosa si tratta. Allo stesso modo, essendo in possesso di una conoscenza molto parziale, come potete affermare di avere acquisito la conoscenza integrale? Questo è l’errore che commettono oggi le persone istruite. Sanno ben poco e credono di sapere tutto! La conoscenza completa, totale è consapevolezza, non acquisizione di dati parziali. Dovreste sempre tenerlo a mente. Cercate il tutto. Siate consapevoli!


D. 120 – Swami, quando un devoto ha l’esperienza assoluta?
Bhagavân – Bhakti (la devozione) trova compimento in mukti (la liberazione). Fino ad allora, non si può dire che il devoto abbia un’esperienza totale. Essa è pûrnanubhâvam, advaitânandam, stato di beatitudine non duale, brahmânandam, suprema beatitudine, e nityânandam, eterna beatitudine.
Un piccolo esempio. Un fiume scorre incessantemente, diramandosi quando incontra ostacoli sul suo cammino e fino a raggiungere la fusione nell’oceano. L’oceano non permette tale fusione con estrema facilità: respinge il fiume o lo allontana. Non per questo il fiume desiste. Infine, quando la marea sale, il fiume si fonde nell’acqua dell’oceano. Quando si verifica layam, sâyutyam, l’intima unione, la fusione dei due, allora il fiume trova vishrânti e prashânti, riposo e pace.
Fra il devoto e Dio esiste una relazione simile: il flusso devozione alla fine conduce alla fusione in Dio. Questa è sâdhanâ, la disciplina spirituale. Il fiume che s’immerge nell’oceano rappresenta la congiunzione di jiva (l’individuo) con Brahman (l’Universale). È lo stato della perfetta unione del jîvâtma (l’anima individuale) col Paramâtma (l’Assoluto).


D. 121 – Swami, che cos’è la saggezza?

Bhagavân – La saggezza non è fatta di nozioni libresche. La saggezza non è erudizione e non è predica. La saggezza non si esprime a parole. Non è una laurea accademica o un dottorato. È esperienza pratica. La saggezza non può essere inculcata. È ciò che vi dà la capacità di vedere i vostri errori, difetti e colpe, di correggerli, e che vi conduce a non ripeterli più.


D. 122 – Swami, nello straordinario corpo umano, dove risiede il principio vitale?

Bhagavân – Voi pensate che la sede della vita sia il cuore. No! Non sapete che oggigiorno i chirurgi compiono trapianti di cuore? Durante il trapianto, il paziente rimane in vita. Allora dov’è situato il principio vitale? Nella colonna vertebrale, fra la nona e la dodicesima vertebra, c’è il principio vitale che funge da interruttore principale.
Nel Mantrapushpam è chiaramente indicato: “Vidyullekheva bhâsvara”, un fulmine o una corrente elettrica fa da centro vitale.


D. 123 – Swami, quali sono i principi basilari della vita?

Bhagavân – Un neonato piange, ma un adulto che lasci questo mondo dovrebbe sorridere. Sapete perché il bambino piange? Per la lunga e sventurata sequenza di problemi della vita che lo attende! Conoscete le parole di Âdi Shankara: Punarapi jananam punarapi maranam punarapi jananî jathare shayanam, nascite e morti senza fine; passare ripetutamente per un ventre materno.
Si rinasce di continuo, vita dopo vita. Quindi, il bambino piange, ma i suoi genitori e i parenti sorridono, esultano e distribuiscono dolci alla sua nascita. La vita comincia con la domanda: “Koham?” (Chi sono io?), ma dovrebbe finire con la risposta: “Soham” (Io sono Dio). Si può trovare la risposta solo con la sâdhanâ. Non serve a nulla rileggere continuamente il foglio con la domanda senza trovare mai la risposta.
Potete suddividere la vita in tre fasi: mattina, mezzogiorno e notte. La prima fase equivale all’infanzia, quando ci si muove su quattro ‘gambe’, cioè gattonando. La seconda è la gioventù, quando si cammina su due gambe. La terza è la vecchiaia, quando ci si muove su tre gambe, cioè aiutati dal bastone, supporto alle due gambe vacillanti. Il brahmacharya, celibato, è la base su cui deve essere costruito l’edificio a tre piani, corrispondenti allo stadio di capofamiglia, anacoreta e rinunciante (totale). La base di questo edificio è quindi il celibato. A cinquant’anni, un individuo dovrebbe già avere ottenuto il pieno controllo sugli organi d’azione, i karmendriya; a sessant’anni dovrebbe avere già vinto le sei debolezze: kâma, krodha, lobha, moha, mada, mâtsarya (desiderio, ira, avidità, attaccamento, orgoglio e gelosia).
A settant’anni, un individuo che ha superato le sei debolezze dovrebbe essere venerato come uno dei sette saggi, i saptârishi, delle sette note musicali, saptâsvara, e dei sette mari, saptâsamudra. Ad ottant’anni, dopo aver seguito gli otto sentieri dello yoga, ashtângayoga, l’uomo risplende come uno degli otto Guardiani dei punti cardinali, ashtâdikpâlaka. A novant’anni, la vita è come una delle nove gemme preziose, navaratna, se sono stati seguiti i nove sentieri della devozione. A cent’anni, l’uomo, divenuto padrone degli organi di percezione e di azione, è divino, avendo sperimentato la divinità in modo profondo: Brahmavid brahmaiva bhavati.
Dovreste riflettere anche su questo punto: tutto ciò che fate è compiuto per vostra stessa soddisfazione e non per altri. È per voi stessi che fate tutto. Quando mettete abiti nuovi, per chi lo fate? Per vostro piacere. Quando costruite una casa nuova, per chi è? Solo per voi, non è vero? Quando mangiate una mela, ciò non fa certo piacere alla mela, ma a voi.
Comprendete che il Sé è Dio. Dovete interpretare bene il ruolo che avete nella vita. Swami è Sûtradhari, colui che tira i fili, il Direttore, mentre voi siete pâtradhari, gli attori. Consideratela un’opportunità. Vivete in modo ideale e guadagnatevi un buon nome. Dio dovrebbe dire che siete buoni. La Gîtâ afferma: “Non pregate per realizzare i desideri. Pregate per essere con Lui e Lui soltanto”. Allora, tutto il resto vi sarà dato. Siate sempre umili e rispettosi.
Nel sud dell’India, si serve il cibo sulle foglie di piantaggine. Quando la foglia è piena di cibo, il vento non potrà portarla via, mentre, se è vuota, la sua leggerezza la fa volare. In altri termini, i recipienti vuoti fanno un gran baccano! Un albero pieno di frutti, a causa del loro peso, è sempre piegato. Similmente, un vero discepolo è umile e modesto. Una massa di aria sale sempre più, mentre la nuvola carica di vapore scende verso la terra. Una persona piena di ego si rovina.
Ci sono quattro princìpi fondamentali che dovreste conoscere e seguire nella vita. Il primo è: Tyaja durjana samsargam, rifuggi le cattive compagnie. Il secondo è: Bhaja sâdhu samâgamam, stai sempre in compagnia di persone buone. Se necessario, meglio perdere o pagare anche dei soldi pur di evitare le cattive compagnie. Non dovreste mai separarvi dalle persone buone, devote e nobili d’animo.
Il terzo principio è: Smara nityamanityathâm, sii sempre consapevole di ciò che è effimero e transitorio. Insomma, distinguete ciò che è divino da ciò che è temporale. Avete un intelletto per discriminare e giudicare. Discernete fra le cose impermanenti, periture e duali, e quelle eterne, immortali e non dualistiche.
Il quarto principio è: Kuru punyam ahorâtram, compi azioni meritevoli giorno e notte. Il corpo è dato per servire gli altri, Paropakârântam idam sharîram.


FINE V° CAPITOLO

(continua)