DISCORSO DIVINO

Il cammino ideale dei giovani

13 aprile 2003

“Su ogni singolo fiore possiamo vedere danzare un sorriso.
Possiamo sperimentare l’amore nel sorriso di un fiore.
Come possiamo, allora, recidere i fiori
e farne ghirlande forandoli con un ago?”


Incarnazioni dell’Amore! Ragazzi e ragazze!
“Gioventù” non significa tenera età o forza fisica. Tale termine fa riferimento a coloro che hanno colmato il proprio cuore delle sei virtù, vale a dire utsâham (entusiasmo), sahasam (coraggio), dhairyam (forza d’animo), bhakti (devozione), shakti (forza, energia), e parâkramam (valore). Un giovane autentico è quello dotato di queste sei virtù: esse sono il distintivo della Gioventù Sai. È un peccato che i giovani moderni si siano invece riempiti il cuore delle sei perniciose qualità di kâma (il desiderio), krodha (l’ira), lobha (l’avidità), moha (l’illusione, l’infatuazione, l’attaccamento), mada (l’ego, l’orgoglio, la superbia) e mâtsarya (la gelosia, l’invidia).

I giovani, tedofori di Virtù e Rettitudine
Dovete indagare su che cosa avete imparato dopo esser venuti qui. Si vedono persone con qualità buone o cattive ma i giovani dovrebbero unicamente aderire a buoni pensieri e buone azioni, dovrebbero vivere come fratelli e sorelle, liberandosi di ogni pensiero negativo o cattiva qualità, e riempiendosi il cuore di sentimenti nobili! Essi dovrebbero acquisire quel tipo di educazione che può inculcare sincerità, devozione, disciplina e senso del dovere. È necessario che queste sacre qualità si manifestino nel comportamento di uno studente. Al genere umano non manca la divinità ma, a causa dell’effetto del Kali Yuga, l’uomo odierno sta acquisendo qualità negative invece di coltivare buoni pensieri e un buon comportamento. I giovani dovrebbero frequentare buone compagnie, tenere una buona condotta e compiere buone azioni ma ragazzi e ragazze simili sono rari nell’odierna società. Sono i giovani a dover stabilire degli ideali per il paese: essi sono i tedofori di Verità e Rettitudine ed è loro responsabilità esser d’esempio, per i loro fratelli e sorelle, e dare gioia a tutti. L’età giovanile è lo stadio più importante della vita: fate in modo di non sciuparla. Aiutate i vostri simili e alimentate in essi sacre qualità, incoraggiateli ed esortateli a compiere azioni sacre. Ovunque si guardi, oggi, si trovano inquietudine e iniquità per non parlare poi di come si comportano i giovani. Stando così le cose, è responsabilità della gioventù Sai indicare agli altri il sentiero ideale: solo allora il paese potrà progredire. Fin dall’antichità, il Paese di Bhârat (l’India) ha diffuso il principio della spiritualità stabilendo, in tal modo, degli ideali per tutto il mondo. Gli uomini e le donne dell’antica India ottennero grande reputazione e fama mettendo in pratica e propagando i sacri Princìpi divini. Purtroppo, al giorno d’oggi, non riscontriamo un tale idealismo fra gli uomini e le donne. È solo quando gli studenti coltivano devozione, fermezza e umiltà che il paese progredisce. La necessità del momento consiste in daiva prîti, pâpa bhîti e sangha nîti (amore per Dio, timore del peccato, moralità nella società).


A causa della mancanza di timore del peccato
e di amore per Dio,
si è andata perdendo, fra gli uomini, l’autenticità umana.
. Ciò è dannoso per la pace universale.


Oggi il timore del peccato è in declino e la gente ha invece sviluppato l’amore del peccato. Nessuno comprende che cosa effettivamente significhi devozione. Devozione significa amore disinteressato per Dio. Dobbiamo alimentare la moralità sociale; l’autentica “umanità” consiste nel perseguire moralità e integrità. Esse, tuttavia, non si incontrano nell’odierna società. Di fatto, la moralità e la disciplina sono le due membra principali dell’essere umano.
Oggigiorno, la scienza è avanzata ma l’autenticità umana è indietreggiata: i progressi scientifici hanno portato alla creazione di bombe e altre armi. A che serve la scienza se la si sfrutta solo per creare bombe che sono in grado di causare distruzioni incalcolabili? Bisognerebbe utilizzare la scienza per il progresso della società. L’universo è simile a un albero gigantesco: lo scienziato è interessato solo ai suoi rami mentre il santo cerca di trovarne le radici. Noi dobbiamo trovare le radici evitando di farci trascinare dall’apparenza esterna. Dobbiamo focalizzare la mente su Dio che è il Fondamento primo dell’universo. Dov’è Dio? Una volta, il Saggio Nârada avvicinò il Signore Vishnu con una richiesta: “Swami! Come Tu sai, io vado in giro per i tre mondi cantando la Tua gloria. Voglio farti un resoconto di tutto ciò in cui mi imbatto. Potresti darmi il Tuo indirizzo permanente?” Il Signore Vishnu rispose: “Nârada, Io sono presente ovunque i Miei devoti cantino la Mia gloria. Centri di pellegrinaggio come Badrinath, Kadarnath, Amarnath, o Tirupati sono solo filiali. Il Mio indirizzo permanente è il cuore dei Miei devoti.”

Incarnazioni dell’Amore!
In qualunque luogo andiate, ovunque studiate, chiunque incontriate, spargete in ognuno i semi delle qualità sacre. È questo lo scopo per cui si tiene qui questo raduno della gioventù. Dovreste imprimere in voi le virtù, sviluppare amore e risplendere come giovani ideali. La gente non comprende che cosa sia il vero amore; l’Amore è il respiro vitale dell’uomo, l’Amore è l’altro nome di Dio, l’Amore è Dio: vivete nell’Amore. In voi c’è amore ma voi lo dirottate verso i vostri amici e parenti. L’amore esistente tra fratelli, sorelle, amici e parenti è, per sua natura, terreno, è temporaneo come una nuvola di passaggio e non può essere definito vero amore. Solo l’amore per Dio è vero ed eterno: una volta che sarà entrato nel vostro cuore resterà con voi per sempre.
Il vostro amore dovrebbe basarsi sul principio di unità. Il vero amore è cuore a cuore; sviluppate questo amore sacro e condividetelo con gli altri nella società. Potete esser chiamati esseri umani solo quando sviluppate questo amore sacro. Tale principio d’amore è divino ed eterno, non è possibile comprenderlo né si può acquisirlo leggendo libri. Esso proviene dal cuore e connette un cuore con l’altro. Quando sviluppate un simile amore, voi tracciate un sentiero divino per il mondo intero.

Incarnazioni dell’Amore!
L’ingiustizia, la falsità e la disonestà che predominano nel mondo odierno sono al di là di ogni descrizione.
Ovunque si guardi, si trova inquietudine ed ansia. Con chiunque parliate, lo troverete immerso nella sofferenza. Per quale motivo? Le cattive qualità e il comportamento iniquo dell’uomo sono responsabili di questo triste stato di cose. Dovete coltivare le virtù e seguire il retto sentiero se volete godere di pace e felicità. Nutrite fede nel Princìpio Atmico. Oggi l’uomo, però, manca purtroppo di fede. Che gli altri vi rispettino o no, voi dovreste rispettarli poiché Dio è presente in tutti. Questa è la prima lezione che dovete apprendere. Ho spesso citato l’esempio di Abramo Lincoln che divenne il Presidente dell’America. Egli nacque in una famiglia povera, non poteva neppure permettersi un vestito adatto per andare a scuola. A causa di ciò, i suoi compagni di classe un giorno lo umiliarono. Quando espresse la propria pena a sua madre, ella lo consigliò di non mostrarsi irrispettoso verso nessuno anche se altri lo umiliavano. Queste parole lasciarono un’impronta indelebile nel tenero cuore di Lincoln. Grazie all’incoraggiamento della madre, egli acquisì fiducia e rispetto di se stesso. Alla fine, raggiunse la posizione di Presidente d’America.

Servire devotamente i propri genitori
Date rispetto e ottenete rispetto. In passato, le madri insegnavano ai figli tali princìpi di rispetto di se stessi. C’erano molte nobili madri che allevavano i figli in modo esemplare a dispetto di tutte le difficoltà. I vostri genitori sottostanno a parecchi sacrifici allo scopo di allevarvi. Dovreste sempre esser loro riconoscenti. Una persona ingrata è peggiore di un animale. Durante la guerra per la liberazione di Rangoon, molta gente morì a causa dei bombardamenti. Una madre e il proprio figlio riuscirono in qualche modo a raggiungere Chennai (Madras), dopo aver perso i propri cari. Non avevano riparo né cibo; si rifugiarono quindi sotto un albero. La madre prese l’abitudine di chiedere l’elemosina di casa in casa, dando al figlio la maggior parte del cibo che riusciva a ottenere e prendendo quel po’ che rimaneva per sé. Quando non riusciva a racimolarne per entrambi, lo dava tutto al figlio e lei restava a digiuno. Di conseguenza, giorno dopo giorno, si indebolì. Un giorno il figlio, incapace di vederla soffrire, le disse: “Madre, da oggi in poi tu riposati: sarò io a procurare da mangiare per tutti e due.” Da quel giorno, prese a mendicare di casa in casa, dando la maggior parte del cibo ottenuto alla madre e prendendo per sé il poco rimasto. Talvolta mentiva alla madre, dicendole di aver già mangiato la sua razione di cibo. A seguito di ciò, anch’egli si indebolì. Il figlio, dunque, non aveva la forza di prendersi cura della madre, come quest’ultima non l’aveva di proteggere il figlio. Un giorno il ragazzo stava chiedendo l’elemosina di fronte alla casa di un ufficiale. Questi era comodamente seduto su una sedia nella veranda a leggere il giornale. Ebbe pietà del ragazzo per cui, entrato in casa, gli portò del cibo su una foglia dicendogli di sedersi e di consumarlo. Il ragazzo, però, rispose che avrebbe portato quel cibo a casa. L’ufficiale, allora, replicò: “Non penso che tu abbia veramente fame; altrimenti, perché dovresti portartelo a casa?” Mentre l’uomo pronunciava quelle dure parole, al ragazzo venne un capogiro e cadde a terra. L’ufficiale lo udì pronunciare con voce flebile le parole: “Prima a mia madre, a mia madre...” Così dicendo, esalò l’ultimo respiro. Quando la triste notizia raggiunse la madre, ella sprofondò nel dolore. Incapace di sopportare la sofferenza della tragica morte, anch’essa morì. Sia la madre sia il figlio, ciascuno per amore dell’altro, sacrificarono la propria vita. È solo grazie a simili santi esseri che il mondo è in grado di reggersi. Se sulla faccia della terra non ci fossero persone buone, come potrebbe il mondo continuare a esistere? La Madre di questo Corpo, Îshvarâmmâ, fu l’incarnazione del sacrificio di sé. Ella dovette sopportare innumerevoli difficoltà per tirarMi su. Anche la madre di Îshvaracandra Vidyâsâgar aderì ad alti ideali a dispetto della sua povertà. Vidyâsâgar lavorò sodo e superò gli esami brillantemente. Allorché si trovò un buon lavoro, si inginocchiò ai piedi della madre e disse: “Madre, è stato solo grazie alle tue benedizioni che oggi ho ottenuto questa posizione. Senza di te, io non esisto. Ho guadagnato un po’ di denaro e desidero utilizzarlo per servirti. Per favore, dimmi se nutri qualche desiderio.”
La madre di Vidyâsâgar si preoccupava del benessere degli altri tanto quanto Madre Îshvarâmmâ. Ella disse a suo figlio: “Mio caro, la gente del nostro villaggio si trova a dover affrontare delle difficoltà a causa della carenza di acqua potabile. Vedere queste persone percorrere grandi distanze, per andare a prendere l’acqua, mi fa soffrire. Sarò felice se, nel nostro villaggio, potrai far scavare un pozzo.” Vidyâsâgar, immediatamente, fece fare quanto gli era stato chiesto, esaudendo il desiderio della madre. Un altro giorno, egli chiese alla madre se avesse altri desideri. Ella rispose: “Figliolo, i bambini del nostro villaggio si recano al villaggio vicino per andar a scuola. Mi piange il cuore a vedere dei bambini coprire ogni giorno a piedi una distanza così grande. Quindi, per favore, fai costruire una piccola scuola nel nostro villaggio.” Per soddisfare il desiderio della madre, Vidyâsâgar fece erigere una scuola. Qualche tempo dopo, ella gli disse: “Figliolo, hai provveduto all’acqua per il villaggio e fatto anche erigere una scuola per i bambini ma ciò che ancora mi angustia è la mancanza di attrezzature mediche nel nostro villaggio. Ti prego, fai costruire un piccolo ospedale.” Per soddisfare quel desiderio, egli fece costruire un ospedale, cosa che rese felicissima sua madre. Ella lo abbracciò e disse: “Hai fatto sì che ogni mio desiderio si realizzasse. Sono davvero felice di aver dato alla luce un figlio nobile come te. Per una madre non può esistere felicità più grande di questa. Grazie a te tutta la nostra stirpe è redenta. Anche se muoio adesso, non importa. Sono veramente felice. A che serve avere cento figli come i Kaurava? Un figlio buono come te è sufficiente.”
Gradualmente, il suo nome e la sua fama si diffusero in lungo e in largo. Essendo rinomato per la sua abilità oratoria, la gente si radunava numerosa per ascoltare i suoi discorsi. Una volta fu invitato a tenerne uno in un’altra città. Un ufficiale I.C.S. (Servizio Civile Indiano) stava viaggiando sullo stesso treno in cui egli si trovava. Entrambi scesero alla stessa stazione e l’ufficiale cominciò a cercare un facchino per la propria valigia. Vedendo ciò, Vidyâsâgar si offrì di portargliela. L’ufficiale gliela consegnò e Vidyâsâgar fu felice di avere un’opportunità di servizio. Gli chiese: “Dove dobbiamo andare, signore?” L’ufficiale rispose: “Portatemi nel luogo in cui Vidyâsâgar oggi terrà un discorso. Sono venuto proprio per ascoltarlo!” Udendo queste parole, Vidyâsâgar sorrise e condusse l’uomo al luogo dell’incontro. L’ufficiale, a quel punto, gli offrì del denaro ma Vidyâsâgar cortesemente rifiutò, dicendo: “Signore, vi ho portato la valigia al solo scopo di aiutarvi, non per avere denaro!” L’incontro era sul punto di cominciare e tutti stavano ansiosamente aspettando Vidyâsâgar. Non appena egli arrivò, gli furono messe al collo delle ghirlande di fiori e gli fu riservata un’entusiastica accoglienza. L’ufficiale riconobbe istantaneamente in Vidyâsâgar colui che gli aveva portato la valigia. Si pentì e pensò: “Sebbene sia tanto istruito, quant’è semplice e umile!” Si avvicinò poi a Vidyâsâgar e implorò il suo perdono. Quest’ultimo, allora, disse: “Perché chiedete scusa se non avete commesso alcun errore? Sono stato io a chiedervi di portare la valigia. Essendo nati nella sacra terra di Bhârat, dobbiamo considerare il servire gli altri un grande piacere e un privilegio.” Ciò dicendo, Vidyâsâgar stesso ringraziò l’ufficiale per avergli dato un’opportunità di fare servizio.

L’educazione al servizio dell’umiltà e dell’obbedienza
Il dottor Sarvepalli Radhakrishnan, che è stato in servizio come Presidente dell’India, era un eminente educatore. Per un certo tempo ha lavorato come professore nello Stato del Mysore. Era molto gentile di cuore ed ha aiutato diversi studenti poveri, durante la sua permanenza in quei luoghi, ottenendo buona reputazione. Quando fu trasferito a Kolkata, i suoi studenti vollero esprimergli la loro gratitudine. Andarono a casa sua, impacchettarono le sue cose, le misero in un carro trainato da un cavallo e lo invitarono a sedersi in esso.
Radhakrishnan era riluttante a fare ciò ma, alla fine, dovette accondiscendere alla loro richiesta. Gli studenti stessi portarono il jutka (il carro) fino alla stazione ferroviaria. I passeggeri erano strabiliati nell’osservare la scena e dicevano fra di loro: “Costui suscita negli studenti un tale rispetto! Chi sarà mai questo grand’uomo?” Uno degli studenti disse loro: “Noi siamo studenti poveri e questo è il nostro veneratissimo insegnante. Egli ha impiegato i suoi guadagni per la nostra educazione. Questo è il modo in cui gli stiamo esprimendo gratitudine.” Messo il bagaglio sul treno, salutarono l’insegnante e lo pregarono così: “Signore, tornate presto a Mysore!” Radhakrishnan fu commosso dalla loro umiltà e obbedienza.
Nell’antichità, gli studenti mostravano rispetto e riguardo supremi verso i genitori e gli insegnanti. Sfortunatamente, oggigiorno, non si riscontra lo stesso rapporto insegnante-studente. Rispettate i vostri insegnanti, amate e servite i vostri genitori. Fate il giusto uso del tempo, perché il tempo è Dio. Ecco perché Egli viene esaltato nel modo seguente:


“Kâlâya namah
kâlâkâlâya namah
kâladarpa damanâya namah
kâlâtîtâya namah
kâlasvarûpâya namah
kâlanimittâya namah”
Omaggi a Colui che è il tempo.
Omaggi al Padrone del tempo.
Omaggi a Colui che ha conquistato la vanità del tempo.
Omaggi a Colui che trascende il tempo.
Omaggi all’Incarnazione del tempo.
Omaggi a Colui che determina il tempo.


Anche se avete solo alcuni minuti di tempo, servite il vostro prossimo: solo allora la vostra vita sarà redenta. Non siete nati semplicemente per mangiare e dormire: dovreste partecipare alle attività di servizio. Dividete il vostro cibo con i poveri. Se non compite atti di carità e non seguite il retto sentiero, la vostra vita sarà inutile. Non inorgoglitevi della vostra istruzione, ricordate che al mondo ci sono molte persone che sono più istruite di voi.


A dispetto di tutta la sua istruzione e la sua intelligenza,
l’uomo stolto non conosce il suo vero Sé
e la persona di mente gretta non abbandonerà le sue vili qualità.
L’educazione moderna porta solo alle diatribe,
non alla perfetta saggezza.
A che serve farsi un’istruzione terrena
se essa non può condurvi all’immortalità?
Acquisite perciò la conoscenza che vi rende immortali.


Avendo acquisito un’educazione, dovreste vivere all’insegna del rispetto, senza traccia di ego. Sviluppate l’umiltà. Quando incontrate i vostri insegnanti, non gridate: “Buon giorno, signore!”, o cose simili. Salutateli con deferenza unendo le mani, e offrite il vostro Namaskâr. È vostro dovere esprimere gratitudine ai vostri insegnanti. Utilizzate i vostri guadagni non semplicemente per i vostri scopi egoistici ma anche per il benessere dei poveri. Siate riconoscenti a chi vi offre l’opportunità di servire. Ricordate che non esiste sâdhanâ (disciplina spirituale) superiore al servizio. Dovete diventare modelli di educazione. In molti villaggi, le persone vivono in condizioni misere: andate da esse e scoprite le loro necessità, cercate di andare incontro alle loro richieste. Comportatevi in maniera tale che la gente vi ricordi sempre per la vostra nobiltà e il vostro servizio. Occupatevi coscienziosamente dei vostri genitori. Aiutate la gente del villaggio in ogni modo possibile.

Swami mantiene la promessa
Voglio raccontarvi qualcosa che risale ai tempi in cui ero studente: durante la Mia infanzia dovetti affrontare svariate difficoltà. A Me non serve essere educato, dato che conosco l’essenza dell’educazione; tuttavia andai a scuola per essere d’esempio agli altri. Ogni giorno ero solito andare da Puttaparthi a Bukkapatnam per frequentare la scuola. Nel nostro istituto c’erano dei ragazzi che provenivano da famiglie ricche. Essi solevano portarsi dei contenitori pieni di riso e vari tipi di salse per la merenda. Io non possedevo uno di questi contenitori: avvolgevo semplicemente del ragi sankati in un piccolo pezzo di stoffa e Me lo portavo dietro per merenda. Vedendo ciò, Griham Ammâyî (Madre Îshvarâmmâ) piangeva dicendo: “Figliolo, mi sento una miserabile a non poterTi fornire del cibo adeguato.” Io la consolavo dicendole: “Madre, che importanza ha che si mangi del riso o del gruel per soddisfare la fame? Dobbiamo accontentarci di ciò che abbiamo. Non preoccuparti di ciò che mangio!” Ella si prendeva cura di Me con grande amore e premura. Nel villaggio di Puttaparthi, al posto del Vecchio Mandir, c’era una capanna col tetto di paglia dove ero solito stare. Una notte alcuni teppisti le dettero fuoco mentre Io Mi trovavo all’interno. Vedendo la capanna divorata dalle fiamme, Subbâmmâ e Îshvarâmmâ accorsero preoccupate e cominciarono a chiamare: “Swami, Swami!” Nel giro di un minuto, si scatenò un violento acquazzone. Pioveva però solo sulla capanna, non da altre parti. Quando uscii, Mi chiesero: “Swami, come hai potuto restare dentro la capanna perfettamente calmo e padrone di Te mentre essa bruciava?” Dissi loro: “Io devo essere presente esattamente in luoghi come quello: essendo l’Incarnazione della Felicità, sono tenuto a esser presente dove esistono difficoltà. Gioia e dolore coesistono, non possono essere separati. A questo mondo la gente buona è destinata ad affrontare dei problemi: deve però rimanere serena.”
In quei giorni, Griham Ammâyî (Îshvarâmmâ) era preoccupata nel vedere molte persone eminenti recarsi da Swami. Temeva che potessero portarseLo via. Era anche preoccupata della politica nel villaggio. Diceva: “Swami, la situazione non è bella. La gente litiga in nome dei partiti politici e per molte altre questioni.” Io le assicuravo che non avevo nulla a che fare con la politica la quale non avrebbe mai potuto incrociare la Mia strada. Un giorno, la mahâranî di Mysore, Desraj Urs, e alcune altre persone giunsero in macchina a Puttaparthi. Lasciarono l’auto a Karnatanagapalli e vennero da Me. Îshvarâmmâ disse: “Swami, queste ricche persone potrebbero chiederTi di andare con loro. Sono arrivate in macchina. Ti prego, non andare!” Io le risposi: “Possono anche avere una macchina: noi abbiamo due gambe con cui camminare. Possono vivere in grandi ville: noi abbiamo un tetto sopra la testa, è sufficiente. Noi siamo felici di ciò che abbiamo. Non andrò con loro, non preoccupartene!” Ella, però, volle una promessa da parte Mia. Disse: “Swami, devi farmi una promessa.” Io chiesi: “Quale?” “Prima, dammi la Tua parola; poi Te lo dirò”, rispose Îshvarâmmâ. Era molto decisa a strapparMi una promessa. Aveva, verso di Me, grande amore e premura. Dissi: “Va bene. Che cosa vuoi? Dimmi!” Ella rispose: “Tu sei Dio, lo so benissimo. Ti farai grande nome e fama. Non devi però, in nessun caso, lasciare Puttaparthi, devi restare qui fintantoché sarai in questo Corpo.” Replicai: “Non posso dire che sarò sempre a Puttaparthi. Posso però promettere una cosa: non Mi trasferirò a risiedere in nessun altro luogo tranne Puttaparthi.” Non appena feci questa promessa, ella si mostrò molto felice. Andò a prendere subito del riso allo yogurt e Me lo mise in bocca [dicendo]: “Swami, oggi sono molto felice [di aver saputo] che non lascerai Puttaparthi. Puoi andare in tutti i luoghi, puoi girare il mondo ma devi sempre fare ritorno a Puttaparthi.”
Una volta implorò di avere il Mio Nome sulle labbra nel momento della morte.
Quando trapassò, qui, nel maggio del 1972, si stava svolgendo il Corso Estivo. Era arzilla e vegeta. Tutto d’un tratto gridò: “Swami, Swami, Swami!” Risposi: “Vengo, vengo...!” Dopo che fui sceso dabbasso, ella esalò l’ultimo respiro. Non ebbe affatto dolori di alcun genere, né stava soffrendo di qualche malattia. Ebbe una morte serena. Il padre di questo Corpo lavorava molto duramente. Non aveva grossi affari. Quando aveva dei soldi con sé comprava noci di cocco per i devoti. Ogni giorno andava a Bukkapatnam per acquistare provviste. Vi sto raccontando ciò solo per fornirvi un esempio di quanto i genitori lavorino sodo per il bene dei figli. È dovere precipuo dei figli aiutare i genitori. Un giorno, parecchi devoti erano seduti nella veranda: stavano per essere chiamati in “interview”. Pedda Venkama Râju (il padre di Swami N.d.T.) arrivò e fece questa richiesta: “Swami! Swami! Per favore, concedimi due minuti di tempo.” Risposi: “Prima lascia che parli con questi devoti, poi parlerò con te.” Egli, però, voleva parlare con Me urgentemente. Io sapevo ciò che sarebbe successo; quindi, lo chiamai dentro. Egli disse: “Swami, ho affrontato molte difficoltà nella vita, ho lavorato duramente, ho venduto noci di cocco e verdura ed ho risparmiato qualche rupia: ecco i soldi. Dodici giorni dopo la mia morte1, Ti prego, dai da mangiare ai poveri. Ho anche messo da parte, a tale scopo, tre sacchi di riso e un sacco di zucchero.” Risposi: “Non preoccuparti. Lo farò. Non ho bisogno del tuo denaro: tienilo tu.” Mio padre replicò: “So bene che lo farai; devo però spendere i soldi che ho guadagnato, non devo lasciarmi dietro alcun debito. Cambia questo denaro in monete e gettale sul mio corpo quando sarà pronto per la cremazione.” Gli dissi: “Sei in ottime condizioni di salute. Perché ora pensi alla morte?” Non patì alcun dolore, né aveva alcuna malattia: andò a casa, bevve un po’ d’acqua e spirò serenamente. Il nonno di questo Corpo, Kondama Râju, era un grande [Mio] devoto. Visse 112 anni. Ogni mattina, andava a piedi dal villaggio al Nuovo Mandir per avere il Mio darshan.
Un giorno Mi domandò: “Swami, per favore, dimmi quando morirò.” Gli dissi: “Perché parli ora della morte? Sei perfettamente in salute! Quando verrà il momento, vedrò.” Egli soggiunse: “Swami, il Tuo Avvento ha santificato la nostra stirpe, la Tua gloria si è diffusa in tutto il mondo. L’unico desiderio che ho è che Tu versi dell’acqua nella mia bocca quando esalerò l’ultimo respiro. Il re Dasharatha non fu tanto fortunato, nel momento della morte, da bere dell’acqua dalle divine Mani del Signore Râma! Oggi il medesimo Signore Râma si è incarnato come Sai Râma. Ti chiedo, dunque, di esaudire il mio ultimo desiderio.” Risposi: “Va bene. Vedremo.” Un giorno, di buon mattino, egli si recò al mandir ed ebbe il Mio darshan. Tornò poi a casa e si sdraiò. Dopo un po’ disse a Îshvarâmmâ di andare a vedere, vicino al tempio di Satyabhâmâ, se Swami stesse arrivando. Ella gli rispose: “Sì, Swami sta arrivando con la Sua macchina.” Allora, avevo una piccola macchina e la guidavo non solo nel villaggio ma anche fino a Chennai (Madras). La gente rimarrebbe attonita nel vedere la celerità con cui guidavo. Kondama Râju disse: “Îshvarâmmâ, prendi un bicchiere d’acqua e mettici dentro una foglia di tulasî (basilico sacro).” Ella fece come le era stato detto. Kondama prese il bicchiere in mano e si mise ad aspettarMi. Sapeva che la sua fine era prossima e che Io sarei andato là mantenendo la Mia promessa. Nessun altro lo sapeva. Tenendo il bicchiere, disse: “Swami, sono pronto!” “Anch’Io sono pronto”, risposi. Non appena gli ebbi versato l’acqua in bocca, egli abbandonò la vita serenamente. Prima di andarsene disse. “Che grande fortuna è bere dell’acqua dalle Tue divine Mani prima di lasciare questo mondo! Persino il re Dasharatha, che compì grandi penitenze e sacrifici, non ebbe una fortuna tanto grande. La mia vita è redenta!” Così dicendo, chiuse gli occhi.

Spendere ogni istante della vita nella contemplazione di Dio
Gli anziani della famiglia ebbero questa morte serena. Avevano colmato il proprio cuore di sentimenti sacri. Sacri sentimenti otterranno sacre ricompense. Quando voi siete buoni, i risultati saranno inevitabilmente buoni. Pertanto, contemplate sempre il Divino.


Sarvadâ sarva kâleshu
sarvatra hari cintanam
Ovunque, ed in ogni circostanza,
sempre vi sia la contemplazione di Hari.


Non dimenticate mai Dio; a tempo debito, Egli riverserà la Sua grazia su di voi.
Prima di concludere il Mio Discorso, vorrei parlarvi di Karnam Subbâmmâ. Era una donna che si era guadagnata grandi meriti. Dopo che fui tornato da Uravakonda, arrivava molta gente dai villaggi vicini per vederMi. Subbâmmâ diceva: “Swami, io non ho figli, e considero il servizio ai devoti come servizio a Dio. Ti prego, dunque, di permettermi di servire del cibo a tutti quelli che vengono qui per vederTi. Anche Tu dovresti stare a casa mia.” Acconsentii alla sua preghiera. Cominciò così a cucinare del cibo e a distribuirlo a tutti i devoti. Un giorno disse: “Swami, Ti sono estremamente grata di avermi dato l’opportunità di servire Te e i devoti per tutti questi anni. La mia vita è redenta poiché ho avuto la grande fortuna di cucinare del cibo per Te. Il mio unico desiderio è che Tu metta dell’acqua nella mia bocca nel momento della morte.” Le promisi che lo avrei fatto.
Una volta dovevo andare a Chennai (Madras) per un impegno urgente. Nel frattempo, Subbâmmâ abbandonò la vita. Di ritorno da Chennai, notai molte persone sul luogo della cremazione. Chiesi allora a una di esse che cosa stesse accadendo. “Swami, Subbâmmâ è deceduta. Stiamo facendo i preparativi per la cremazione”, fu la risposta. Subito, feci cambiare direzione alla macchina e andai alla casa di Bukkapatnam, dove c’era il suo corpo. VedendoMi, sua madre e le sorelle cominciarono a piangere e si lamentarono così: “Swami, per tutti questi anni ella Ti ha servito. Aveva un solo desiderio: aspettava, piena di speranza, che Tu le dessi dell’acqua prima di morire ma è morta senza che il suo desiderio fosse esaudito. Non meritava forse almeno questo per tutto il servizio che per anni ha svolto per Te?” Mi elogiavano e al tempo stesso si lamentavano del fatto che non avessi mantenuto la promessa. Dissi loro di tranquillizzarsi, sostenendo che Subbâmmâ era ancora viva. In realtà, non lo era più; le formiche le entravano negli occhi e nel naso poiché, in quel corpo, non c’era vita. Dissi: “Io mantengo sempre le promesse. Avendo dato la Mia parola non la disattenderò.” Mi avvicinai al corpo di Subbâmmâ e la chiamai: “Subbâmmâ! Subbâmmâ!” Immediatamente, ella aprì gli occhi. (Forte applauso).
Le persone lì attorno non riuscivano a credere ai propri occhi. “Subbâmmâ è tornata in vita!”, esse gridavano. Di fatto, però, non era tornata a vivere: era rientrata nel suo corpo per amor Mio. Io avevo fatto una promessa; quindi lei era tornata indietro. Vedendo ciò, le sue sorelle furono molto felici. Le passai il Mio fazzoletto sul viso per allontanare le formiche e le versai dell’acqua in bocca. Mi guardò allora in viso, versò lacrime di gioia e abbandonò la vita. Subbâmmâ ottenne sadgati (la salvezza, la beatitudine). Quando do la parola, non Me ne dimentico mai, mantengo sempre ciò che prometto. Molte persone non credono a ciò e pensano “Swami ci dice questo solo per farci piacere” ma, credeteMi, la Mia parola non sarà mai ingannevole. Qualunque cosa Io dica, sicuramente la farò.

Incarnazioni dell’Amore!
Se volete vivere in pienezza la vita, passate il tempo in contemplazione di Dio fino al vostro ultimo respiro. Swami vi concederà senza meno il darshan (la Sua visione) ovunque siate. La vita di Karnam Subbâmmâ e dei genitori di questo Corpo offrono ampia testimonianza di ciò. Ogni anno, il “Giorno di Îshvarâmmâ”, ero solito far visita al samâdhî (tomba) dei Miei genitori. Oggi, però, essendo aumentate le folle, non è più possibile andarvi per cui ho mandato degli abiti da mettere sul loro samâdhî. Ho sempre mantenuto la Mia promessa. Io sono Sathya Sai e aderirò sempre a Satya (la Verità). Comprendete questa verità ed otterrete ciò che meritate. La gente del Kerala è molto fortunata. Questa è la prima volta che un gruppo di buoni studenti e giovani di quel luogo è venuto qui.

Studenti! Ragazzi e ragazze!
Dovete diventare cittadini ideali e guadagnarvi una buona reputazione. Non voglio niente da voi. Dovreste manifestare gratitudine ai vostri genitori e renderli felici: questo è ciò che Mi aspetto da voi. Io sono felice quando i vostri genitori sono felici. Vi benedico tutti, augurandovi che tutti possiate diventare uomini e donne ideali. Ciò detto, concludo il Mio Discorso.

Baba ha concluso il Suo Discorso con il bhajan: “Hari Bhajana Binâ Sukha Shânti Nahi”, poi ha dichiarato. "Ogni anno, i giovani e gli studenti del Kerala possono venire qui con i loro fratelli e le loro sorelle".


Whitefield, 13 Aprile 2003,
Sai Ramesh Krishan Hall
Raduno dei giovani del Kerala
(Tratto da Sanâtana Sârathi, ottobre 2003)


Nota:
1) La tradizione indù vuole che si dia da mangiare ai poveri l’undicesimo e il dodicesimo giorno dopo la morte di un parente.