DISCORSO DIVINO

Ramanavami - Anniversario della nascita di Rama

21 aprile 2002

Pił dolce dello zucchero, pił gustoso del curd (1),
invero pił dolce del miele č il Nome di Rāma.
La ripetizione costante di questo soave Nome
dona il sapore del nettare Divino.
Contemplate incessantemente questo dolce Nome!
(Versi Telugu)

Incarnazioni del Divino Amore!
Ayodhyā era la capitale del regno di Kosala. Il nome Ayodhyā significa un luogo nel quale nessun nemico puņ entrare, essa era stata fondata dall'imperatore Manu; vicino alla cittą scorreva Il fiume Sarayu, che nasce dal lago Mānasasarovar, il quale č la manifestazione della volontą di Brahma.
Questa cittą sacra era governata dall'imperatore Dasharatha, il quale nonostante tutte le sue ricchezze e comoditą non era felice, poiché non aveva figli.

Dasharatha aveva un ministro di nome Sumantha, di nobile cuore ed assai virtuoso. Un giorno, quest'ultimo si recņ da Dasharatha e gli disse: "Oh re! Ho un'idea che dovrebbe risolvere ogni problema e conferire gioia a voi ed a tutti i cittadini: il paese otterrą prosperitą ed abbondanza se compirete il 'Sacrificio del Cavallo', Ashvamedha (2) Yāga. C'č poi un secondo rito, denominato Putrakāmesti (3) Yāga, compiendo il quale sarete sicuro di avere dei figli".
Disse anche che la cerimonia del cavallo poteva essere eseguita dopo il rito propiziatorio per avere figli.

Dasharatha fu contento della proposta e gli ordinņ di compiere i preparativi necessari. Sumantha suggerģ a Dasharatha di invitare il Saggio Rishyasrunga, quale sacerdote principale che presiedesse al Putrakāmesti Yāga; pensava, infatti, che Rishyasrunga fosse ben preparato per compiere quel tipo di rito.

A quel tempo, il re Padmapada governava il regno di Anga, che era colpito da una carestia e, perciņ, anch'egli pensava di chiedere l'aiuto di Rishyarunga per superare la crisi. Un giorno, Dasharatha, Sumantha e Padmapada si recarono insieme al romitaggio di Rishyasrunga, il quale acconsentendo alla richiesta di Dasharatha, si recņ ad Ayodhyā per celebrare i due riti, quello del cavallo e quello per avere figli.

Nel corso della celebrazione, un Essere splendente emerse dal fuoco sacrificale con un vaso contenente del Payasam, una dolce crema di riso; diede il vaso al Saggio Vashista (4), il quale lo passņ al re Dasharatha, istruendolo di dividerne equamente il contenuto tra le sue tre mogli.

Essendoci stati diversi compositori del Rāmāyana, come Valmīki, Kamba, Tulasidas, ognuno di loro diede una diversa versione circa le proporzioni con cui il cibo Divino fu distribuito, ma nessuno indicņ quella esatta. Dasharatha diede, in tre tazze diverse, la stessa quantitą di crema di riso ad ognuna delle sue tre regine. Allora come oggi, il principio dell'uguaglianza č essenziale per l'uomo.

Dasharatha disse alle sue mogli di compiere un'abluzione rituale e di chiedere la benedizione del Saggio Rishyasrunga prima di mangiare la crema di riso.
La regina Kausalya era assai felice, come pure Kaikey. Solo Sumitrā non era molto contenta, anche se non intendeva disobbedire l'ordine di suo marito Dasharatha e del Saggio Rishyasrunga. Dopo il bagno rituale, ella andņ sulla terrazza ad asciugarsi i capelli al sole tenendo vicino a sé la tazza con il dolce. Mentre si asciugava i capelli, pensņ: "Kausalya č la regina pił anziana e quindi suo figlio sarą legalmente l'erede al trono; oppure, a causa della promessa fatta da Dasharatha al re di Kekaya, padre di Kaikey, sarą il figlio di quest'ultima ad essere incoronato re. Mio figlio non avrą, perciņ, nessun diritto al trono; considerando questa situazione, che senso ha per me avere un figlio?"

Ella era abbattuta, depressa, e si perdeva in questi pensieri mentre si pettinava; nel frattempo arrivņ di corsa un'ancella per informarla che il re Dasharatha chiedeva che andasse subito da lui.
Sumitrā s'intrecciņ i capelli e stava per prendere la tazza, quando un'aquila piombņ gił all'improvviso ed in un baleno volņ via con la tazza. Sumitrā era gią triste, e quest'incidente aumentņ la sua angoscia mille volte. Temeva che il marito ed il Saggio Vashista si sarebbero arrabbiati con lei ed inoltre tremņ all'idea di essere maledetta dal Saggio Rishyasrunga.
Allora corse dalle altre due regine, Kausalya e Kaikey, per spiegare loro in quale difficile situazione si trovasse. "Sorelle, per mia negligenza, un'aquila mi ha rubato la tazza con la crema. Č stato certamente un mio errore, anche se non intenzionale".

A quei tempi, anche le diverse mogli vivevano in amicizia come figlie della stessa madre. Kausalya la consolņ e prese una tazza simile in cui versņ metą del suo cibo benedetto. Kaikeyi fece lo stesso. Sumitrā si rallegrņ dell'aiuto e della comprensione mostratale dalle altre mogli. Tutto ciņ avvenne in modo semplice e naturale, ma alcuni autori ne diedero una versione diversa; essi riportarono la distribuzione del cibo benedetto, basandosi su propri calcoli matematici.

Le tre regine andarono nella stanza delle preghiere e mangiarono la crema di riso. Passarono nove mesi. In un fausto giorno, Kausalya diede alla luce un bambino. Era il momento in cui tutti i cinque elementi si trovavano in armonia fra di loro. La sua gioia non aveva limite.
Prima che la buona novella fosse comunicata a Sumitrā e Kaikeyi, anch'esse avvertirono le prime doglie. Da Sumitrā nacque per primo Lakshmana e dopo qualche istante Satrughna. Da Kaikeyi nacque Bhārata. I quattro Veda assunsero la forma dei quattro figli di Dasharatha.

Al decimo giorno, fu eseguita la cerimonia di imposizione del nome. Il figlio di Kausalya fu chiamato Rāma, poiché attraeva e deliziava chiunque. Come uno vede la propria immagine nello specchio, cosģ Rāma vedeva lo splendore dell'Ātma in tutti; Egli vedeva quello splendore riflesso nel cuore di ognuno come una Luna, perciņ fu chiamato Rāmachandra.

I due figli di Sumitrā erano irrequieti e piangevano ininterrottamente fin dal momento della loro nascita, non mangiavano il latte, né volevano dormire. Sumitrā era molto addolorata a causa della pietosa condizione dei due bambini, e pensava: "Io piango, pensando alla mia sfortuna, ed ora anche i figli nati da me, piangono; come sono sfortunata!"- e si sentiva desolata.

In un momento in cui non c'era nessuno in vista, ella avvicinņ il Saggio Vashista e gli spiegņ la triste situazione dei suoi figli: "Maestro, io non mi aspetto nulla dai miei figli; mi basta solo che essi abbiano una vita sana e felice. Non sembra che essi soffrano di malattie fisiche, ma non capisco perché siano cosģ irrequieti e piangano senza sosta fin dal primo istante".

Vashista chiuse gli occhi ed entrņ in meditazione per conoscere il motivo dello strano comportamento dei due bimbi. Quando li riaprģ, le disse: "Madre Sumitrā, tu sei molto fortunata, sei dotata della nobile virtł dell'equanimitą. Come dice il tuo nome, sei una buon'amica di tutti. Non preoccuparti. Col permesso di Kausalya, metti Lakshmana nella stessa culla di Rāma, poi chiedi il permesso a Kaikey di mettere Satrughna nella stessa culla di Bhārata: essi smetteranno di piangere e si comporteranno normalmente".

Kausalya e Kaikeyi prontamente acconsentirono alla richiesta di Sumitrā. Dissero: "Sorella, porta subito Lakshmana e Satrughna. Essi sono come i nostri figli, non č forse una gioia per noi vedere i quattro fratelli crescere insieme in unitą?"

Sumitrā seguģ l'indicazione del Saggio Vashista, e non appena Lakshmana si trovņ al fianco di Rāma nella culla, smise di piangere. Lo stesso accadde per Satrughna: cessņ di piangere non appena fu messo vicino a Bhārata. Lakshmana e Satrughna erano felicissimi in compagnia di Rāma e Bhārata, erano sorridenti e cominciarono a muoversi deliziosamente, mentre Sumitrā si sentģ molto sollevata nel vedere i due bambini cosģ contenti.

Dopo alcuni giorni Sumitrā, incontrando Vashista, gli chiese di spiegarle lo strano comportamento dei suoi figli, come mai Lakshmana e Satrughna avessero pianto continuamente, finché non erano stati messi vicino a Rāma e Bhārata.
Vashista le spiegņ: "Oh Sumitrā! Tu sei un'anima nobile, il tuo cuore č puro ed immacolato e non sei per niente egoista; non ti sarą perciņ difficile capire le ragioni che si celano dietro ciņ. Ricorderai che, quando il tuo cibo Divino fu portato via da un'aquila, Kausalya e Kaikeyi vennero in tuo aiuto dividendo la loro parte con te; come risultato hai avuto due figli. Lakshmana č nato dalla porzione di crema ricevuta da Kausalya, e Satrughna č nato da quella ricevuta da Kaikeyi. Ciņ significa che Lakshmana č un frammento di Rāma, mentre Satrughna č una parte di Bhārata. Perciņ, č naturale che Lakshmana sia felice in compagnia di Rāma e che Satrughna lo sia in compagnia di Bhārata."

La Bhagavadgītā dice:

Una Parte di Me, Eterna, č manifesta in tutti gli esseri viventi.
(Versi Sanscriti)

Lakshmana, essendo una scintilla di Rāma, era sempre in Sua compagnia, mentre Satrughna e Bhārata erano sempre insieme.
Gli anni passarono ed i quattro fratelli erano diventati dei bei giovani, cosģ il padre, Dasharatha, decise di celebrare il loro matrimonio. Un giorno, mentre pensava a questo argomento, arrivņ un messaggero per informarlo del ritorno del Saggio Vishvāmitra (5).

Ogni cosa accade sempre in base al momento, alla situazione ed alle circostanze; infatti, Dio crea le circostanze idonee, affinché il Suo piano Divino si compia.

Dasharatha si recņ personalmente all'entrata per dare il benvenuto al Saggio: "Swami, č una grande fortuna che tu sia arrivato oggi. Sto meditando di celebrare il matrimonio dei miei figli. Mi sento molto felice e benedetto avendoti oggi tra noi. Dimmi cosa posso fare per te, soddisferņ ogni tuo desiderio".
Vishvāmitra affermņ che era venuto a prendere Rāma con sé per proteggere dai demoni il suo rito sacrificale.

A Dasharatha sembrņ che una bomba gli fosse scoppiata nel cuore. "Ho avuto questi figli solo dopo numerose cerimonie e riti sacrificali, celebrati per diversi anni. Inoltre Rāma non č mai stato in una foresta, né ha mai visto un demone. Egli non ha odio per nessuno, č pieno d'amore e di tolleranza. Come posso mandare Rāma, dal cuore cosģ tenero, a lottare contro dei demoni crudeli?"
Tali erano i suoi sentimenti. Allora disse a Vishvāmitra, "Oh venerabile Saggio, i miei figli sono molto giovani. Come posso mandarli nella foresta?"

Vishvāmitra rispose: "Oh re! Hai promesso di soddisfare qualsiasi mio desiderio, ed ora ritiri la tua parola. I re appartenenti alla dinastia Ikshvāku non sono mai venuti meno alle promesse fatte; se vai contro le tue parole porterai disonore al tuo clan, decidi dunque se vuoi esporre la tua famiglia alla vergogna, o mandare con me i tuoi figli".

Dasharatha vi rifletté a lungo, ma fu incapace di decidere; chiamņ allora il Saggio Vashista per chiedergli consiglio. Vashista disse: "Dasharatha, i tuoi figli non sono degli ordinari mortali; essi sono nati per Volontą Divina, sono nati dal fuoco, e ciņ significa che sono Incarnazioni di potere e saggezza. Pertanto, nessun pericolo puņ colpirli. Mantieni quindi la promessa fatta a Vishvāmitra."

C'č un punto importante da notare. Vishvāmitra era venuto per prendere con sé solo Rāma, il quale - disposto ad andare con lui - chiese a Lakshmana di accompagnarlo. Né Vishvāmitra, né Dasharatha avevano chiesto a Lakshmana di seguire Rāma; egli lo seguģ di propria iniziativa, perché era una sua parte. Proprio come l'ombra segue l'oggetto, Lakshmana accompagnņ Rāma. Osservando questo fatto, Vishvāmitra pensņ tra sé: "Ogni cosa accade secondo la Volontą Divina".

Prima di partire il Saggio disse a Dasharatha: "Oh re! Non c'č potere al mondo che non sia in me, sono dotato di tutti i poteri e di tutti i tipi di conoscenza, ma quando assumo la consacrazione per celebrare un rito sacrificale e ne inizio l'esecuzione, non posso lasciarmi coinvolgere in un atto di violenza. Questa č la disciplina prescritta per chi esegue una cerimonia sacrificale. Pertanto, non posso uccidere io stesso i demoni, ecco perché prendo Rāma con me."

Raggiunte le rive del fiume Sarayu, Vishvāmitra chiamņ Rāma vicino a sé. Chiamņ solo Rāma e non Lakshmana; tuttavia, sebbene non fosse stato chiamato, Lakshmana andņ a sedersi accanto a Rāma. Vishvāmitra disse: "Miei cari, vi sto portando nell'Ashram, in cui avverrą il sacrificio che voi dovete proteggere dai demoni. Non so per quanti giorni dovrete stare nella foresta; voi siete abituati alle comoditą di palazzo ed a cibi deliziosi, ma nell'Ashram non c'č nessuno che vi possa preparare il cibo. Per proteggere il rito, dovrete forse stare svegli notte e giorno, dimenticando cibo ed acqua. Pertanto, vi insegnerņ due Mantra: Bala ed Atibala. Col potere di questi Mantra potrete rimanere senza cibo, acqua e sonno per qualsiasi periodo di tempo."

Perché Vishvāmitra gli insegnņ i Mantra, sapendo che Rāma era un'Incarnazione Divina ed aveva tutti i poteri per proteggere il Sacrificio? Questi sono solo gesti esteriori rivolti al mondo. Rāma e Lakshmana recitarono questi Mantra e di conseguenza durante la loro permanenza nell'Ashram non sentirono fame, né sete, né sonno.

Mentre il rito sacrificale era in corso, il demone Maricha tentņ di farlo fallire disturbandone lo svolgimento. Rāma lo uccise con una sola freccia e, per l'impatto, il suo corpo fu scagliato a grande distanza. Successivamente, si udģ un rumore tuonante. Rāma domandņ a Vishvāmitra: "Swami, cos'č questo rumore? Sembra che le montagne stiano cadendo a pezzi". Il Saggio rispose: "Le montagne non c'entrano, questa č la demone Thataki che con la sua voce fa tremare chiunque. Preparati ad affrontarla, sta per arrivare".

Rāma sollevņ un'obiezione, se fosse cioč corretto per un Kshatriya, un appartenente alla casta dei guerrieri, uccidere una donna. Vishvāmitra affermņ: "Rāma, quando si tratta di proteggere un rito sacrificale, non devi preoccuparti se chi tenta di farlo fallire sia un uomo od una donna; tuo dovere primario č tenere a bada tutti i demoni".

Seguendo le parole del Guru, Rāma obbedģ ed uccise l'orchessa; non era certo una che si lasciasse uccidere facilmente, tanto che ci fu una battaglia feroce, ma qui non c'č bisogno di entrare nei dettagli. Una volta uccisa Thataki, i dintorni dell'Ashram ritornarono pacifici e tutti se ne rallegrarono. Creature celesti gettarono dall'alto petali di fiori, ed il sacrificio fu portato a termine con successo.

Nel frattempo, arrivņ un messaggero dalla cittą di Mithilā e consegnņ una lettera a Vishvāmitra da parte del re Janaka. Era un invito per il Saggio a prendere parte ad una cerimonia che Janaka stava per celebrare. Vishvāmitra si mise subito in viaggio per Mithilā.
Essendo un Sanyasi, un rinunciante, non aveva alcun bagaglio da portare con sé. Egli domandņ a Rāma e Lakshmana di seguirlo, ma Rāma era riluttante. Osservņ: "Maestro, mio padre mi ha mandato per proteggere il vostro Sacrificio. Non mi interessa il rito che sta per celebrare il re Janaka."

Per sollevare in loro interesse ed entusiasmo, Vishvāmitra spiegņ: "Questo Sacrificio non č un rito ordinario. Nel palazzo del re Janaka si trova lo Shiva Dhanus, l'arco di Shiva, che nessun mortale riesce a sollevare, e che č difficile muovere anche solo di qualche centimetro. Un giorno accadde che Sītā, la figlia di Janaka, sollevasse l'arco; quel giorno, Janaka decise che avrebbe dato sua figlia Sītā in sposa a qualcuno che fosse riuscito a sollevare l'arco". Vishvāmitra persuase cosģ Rāma e Lakshmana ad accompagnarlo a Mithilā.

Nella capitale si erano riuniti tutti i cittadini ed erano arrivati numerosi re di vari paesi, fra i quali anche Rāvana; quest'ultimo era molto potente e aveva un aspetto terrificante, e fu il primo a farsi avanti per sollevare l'arco. Mentre si dirigeva verso l'arco, i re presenti furono impressionati dal suo portamento e dalla sua personalitą, e pensarono: "Se č in grado di sollevare l'arco, il re Janaka gli deve dare sua figlia in sposa. Il solo vederlo č spaventoso. Come puņ Janaka dargli sua figlia? In ogni caso, stiamo a vedere cosa succederą".

In prima battuta, Rāvana tentņ di sollevare l'arco con la mano sinistra, ma non riuscģ neppure a smuoverlo. Allora egli adoperņ tutta la sua forza e provņ di nuovo con le due mani, ma l'arco neppure si mosse. Nello sforzo di sollevarlo, egli perse l'equilibrio e cadde; umiliato, non seppe sopportare l'ignominia. Chi ha ego č destinato a subire umiliazioni e non puņ ricevere rispetto ed onore dalla societą, perché l'ego porta alla rovina.
Vedendo il possente Rāvana cadere in quel modo, tutti i re furono molto sorpresi e pensarono: "Se Rāvana non riesce a sollevarlo, nessun altro ce la potrą fare"; anzi, erano addirittura timorosi di farsi avanti per tentare di sollevarlo.

In quel momento Vishvāmitra diede un'occhiata significativa a Rāma, il quale intuendone il significato, si alzņ. A quell'epoca Egli aveva solo quindici anni; mentre camminava con maestą verso l'arco, i presenti erano incantati dal Suo Divino splendore ed ipnotizzati dalla Sua Divina Forma, tanto che erano incuranti di quanto stesse per accadere. Sorridente, Rāma si accostņ all'arco, s'aggiustņ l'abito, pose la mano sinistra sull'arco, e in un batter d'occhio lo tirņ su. Per fissare la corda, l'arco doveva perņ essere piegato, quindi mentre Rāma lo stava piegando, esso si spezzņ, provocando un suono sordo. I presenti rimasero enormemente meravigliati nel constatare la possente forza di Rāma.

Tenendo in mano una ghirlanda di fiori, Sītā venne immediatamente accompagnata dalle ancelle.
Vishvāmitra gli chiese: "Rāma, sei pronto per il matrimonio?" - Egli rispose: "Swami, mio padre mi ha mandato al tuo Ashram per proteggere la cerimonia del Sacrificio, ma non ho avuto il suo permesso di venire fin qui. Non accetterņ quindi questa proposta senza il suo consenso".
Vishvāmitra sussurrņ alcune parole all'orecchio di Janaka. Essendo quest'ultimo a conoscenza delle regole comportamentali prescritte per un re, confermņ il punto di vista di Rāma. Allora Janaka senza indugio spedģ i suoi messaggeri alla corte del re Dasharatha per invitare lui e tutta la sua famiglia con i dovuti onori regali.

Dall'arrivo a Mithilā del re Dasharatha e della sua famiglia trascorsero tre giorni, durante i quali Rāma e Lakshmana non si mossero dalla loro stanza. Oltre ai membri della famiglia, amici e parenti, Dasharatha arrivņ accompagnato da migliaia di soldati e dai cittadini di Ayodhyā. I quattro fratelli furono molto felici di rivedersi tutti insieme. Il quarto giorno venne celebrato il sacro matrimonio, e di ciņ vi ho gią parlato in dettaglio molte volte.
Sītā era nata dalla madre terra, ed Ūrmilā era figlia di Janaka. Sītā doveva sposare Rāma, ed Ūrmilā sarebbe andata in sposa a Lakshmana.

Il fratello del re Janaka aveva due figlie, Mandavi e Sruthakirti, le quali furono date in moglie rispettivamente agli altri due fratelli di Rāma, cioč a Bhārata e Satrughna. Sembrava proprio che fossero fatti gli uni per gli altri.
Durante la cerimonia nuziale, Sītā doveva porre una ghirlanda di fiori intorno al collo di Rāma. Essendo, perņ, piccola di statura non ci riusciva, perché Rāma era molto alto. Egli avrebbe dovuto abbassare la testa, per consentire a Sītā di mettergli la ghirlanda al collo; tuttavia, non lo fece, altrimenti la gente avrebbe pensato che uno valoroso come Rāma chinava la testa davanti ad una donna. Poiché a quei giorni le donne non guardavano in faccia gli uomini, Sītā teneva gli occhi bassi, con la ghirlanda in mano.

Lakshmana era l'incarnazione di Adishesha, il serpente che porta la madre terra sulla sua testa; allora Rāma gli diede un'occhiata per suggerirgli: "Perché non sollevi quella parte di terra dove si trova Sītā, in modo che possa mettermi la ghirlanda?" Lakshmana osservņ che non era possibile alzare solo una particolare area, perché se avesse sollevato la parte di terra, su cui si trovava Sītā, contemporaneamente anche Rāma e gli altri sarebbero stati sollevati.

Tutti i presenti cominciarono a diventare ansiosi e si chiedevano come mai Rāma non abbassasse la testa, in modo che Sītā potesse mettergli la ghirlanda di fiori. Lakshmana, d'acuto intelletto, pensņ ad uno stratagemma per risolvere il problema. Improvvisamente, si buttņ ai piedi di Rāma e vi rimase a lungo. Vedendo che il fratello non si rialzava, Rāma si curvņ in avanti per sollevarlo, ed in quel preciso momento, tempestivamente, Sītā inghirlandņ Rāma.

Il Santo Tyāgarāja una volta intonņ un canto, esaltando i grandi poteri di Rāma:

Se non fosse per la potenza di Rāma,
potrebbe una scimmia attraversare il vasto oceano?
Lakshmī Devi, la Dea della ricchezza,
sarebbe forse diventata Sua consorte?
Lakshmana lo adorerebbe?
L'arguto Bhārata s'inchinerebbe davanti a Lui?
Se non fosse per il grande potere di Rāma, potrebbe avvenire tutto ciņ?
In veritą, i Poteri di Rāma sono indescrivibili.

Terminata la celebrazione dei quattro matrimoni, avvenuta in modo glorioso, tutti fecero ritorno ad Ayodhyā.

L'antico detto dichiara:
"Il piacere č un intervallo fra due dolori".

Sulla via del ritorno si verificņ un piccolo conflitto con Parashurāma (6); ma Rāma lo affrontņ e lo vinse, ed infine raggiunse la Capitale.

Alcuni giorni trascorsero. Una mattina alle tre, il Re Dasharatha fece un sogno, ed a quei tempi si credeva che i sogni fatti nelle prime ore del giorno si sarebbero poi verificati. Egli sognņ di essere diventato molto vecchio, con mani e gambe tremanti, e si svegliņ molto turbato a causa di questo brutto sogno. Poiché ritenne di non vivere ancora a lungo, decise di incoronare Rāma, senza indugio. Quando il re decide di fare qualcosa, chi lo puņ fermare?

Egli pensņ che non c'era tempo d'organizzare cose molto elaborate per l'incoronazione, perciņ mandņ a chiamare il Saggio Vashishta ed ottenne il suo consenso. Chiamņ poi Rāma e lo informo della sua decisione. Rāma trattava tutto con equanimitą, infatti questo era il Dharma sociale da lui praticato: era dell'idea che tutti sono uguali e che non devono esserci differenze. Tutti sono Uno. Dio č Uno. L'obiettivo di Rāma era di evidenziare l'unitą nella diversitą.

Quando Dasharatha lo informņ che sarebbe stato incoronato il giorno seguente, Rāma rimase in silenzio per qualche tempo. Essendo un figlio obbediente, non voleva contrastare il desiderio del padre; rifletté per un po' e poi osservņ: "Padre, Bhārata e Satrughna non sono qui, non sarebbe opportuno aspettare il loro arrivo? Il re era, tuttavia, fermo nella sua decisione: "Non devi preoccuparti di questo, devi obbedire il mio comando". Rāma rispose di essere pronto a farlo, ma cercava solo una spiegazione, perciņ aggiunse: "Noi quattro fratelli siamo nati lo stesso giorno, sotto la stessa stella, siamo nati dal cibo Divino dello stesso Rito Sacrificale. La cerimonia dell'imposizione del nome, dell'iniziazione all'apprendere, l'iniziazione da parte del Guru con l'investitura del cordone sacro, nonché i nostri matrimoni furono celebrati tutti simultaneamente. Allora, perché sono stato prescelto solo io per diventare l'erede al trono? Lascia che tutti quattro siano incoronati contemporaneamente!"

Dasharatha fu davvero sorpreso nell'udire le osservazioni di Rāma ed allora, rapidamente, aggiunse: "Ma non ci possono essere quattro re che governano un solo regno". Rāma replicņ: "Dividi il regno in quattro parti, ed ognuno regnerą il proprio territorio. Fa in modo che le nostre incoronazioni avvengano nello stesso momento, non creare delle differenze".

Dasharatha rimase molto colpito e meravigliato nel sentire le argomentazioni di Rāma, tanto che non seppe dargli alcuna risposta. Mandņ via il figlio e consultņ il Saggio Vashishta, il quale pił tardi cercņ di convincere Rāma: "Per molte generazioni nel passato, il nostro regno č rimasto unito. Se ora viene diviso, potrebbero sorgere problemi in futuro". Ma Rāma non convinto, rispose: "Non ti chiedo di dividere il regno, ma di consentire ad ognuno di noi di governare una parte del regno".

Rāma aveva l'impressione che Dasharatha stesse invecchiando; quando l'etą avanza, le facoltą mentali non sono pił cosģ lucide. Poiché Dasharatha non riusciva a comprendere, Rāma osservņ: "Aspettiamo che Bhārata e Satrughna facciano ritorno". Ci avrebbero impiegato ancora quindici giorni per arrivare ad Ayodhyā, ma intanto tutti potevano riflettere tranquillamente sulla questione e addivenire ad una conclusione appropriata. Questo era il piano di Rāma. I poteri di Rāma ed il Suo disegno erano molto misteriosi e colmi di meraviglie.

Il principale insegnamento della cultura Indiana č che deve esserci uguaglianza nella societą:
"Lokā Samastā Sukhino Bhavantu"
Possano tutti i mondi essere felici.

E Rāma sosteneva i principi dell'antica cultura. In ogni caso, l'incoronazione non avvenne in quella circostanza.
Molti leggono e rileggono il Rāmāyana, possiedono pigne di libri sull'argomento, ed imparano i versi a memoria; ma a che scopo? Essi non ne capiscono l'essenza!

Madre Kausalya era molto virtuosa. Essendo la regina pił anziana, tutti la rispettavano ed obbedivano ai suoi comandi. Kaikeyi era invece la regina pił giovane, ma nessuno poteva contrastare i suoi desideri, tanto che Dasharatha era come un burattino nelle sue mani, che danzava al suono della sua musica. A Sumitrā invece non veniva attribuita molta importanza, ma le nobili qualitą di Sumitrā e Satrughna non possono essere descritte a parole.

Successivamente, a causa di diversi eventi, accadde che l'incoronazione di Rāma non ebbe luogo; anzi, Egli dovette andare in esilio per quattordici anni. Prima di partire per la foresta, Rāma si recņ da madre Kausalya per ricevere la sua benedizione, ma ella piangeva sconsolata. Non soltanto lei, ma tutti a palazzo erano in lacrime.
Quando Lakshmana andņ da sua madre Sumitrā per ottenere la sua benedizione, ella gli disse: "Mio caro, non pensare che tu stia andando nella foresta. Di fatto, Ayodhyā - la Capitale - senza Sītā e Rāma č una foresta per noi; mentre la foresta, in cui Sītā e Rāma vivranno, sarą Ayodhyā per te. Rāma č tuo padre e Sītā tua madre. Non permettere che nulla ti sia d'intralcio nel servirli".
Quale madre avrebbe parlato in tal modo? Tutte si sarebbero avvalse di varie argomentazioni per impedirgli di andare: "Secondo la promessa fatta a Kaikeyi, solo Rāma deve recarsi in esilio nella foresta, non č quindi necessario che tu lo segua". Sumitrā, tuttavia, essendo una madre nobile, non pensava in quei termini, possedeva tutte le virtł degne di una madre ideale.

Lakshmana andņ poi dalla moglie, Ūrmilā, per informarla della sua decisione di accompagnare Rāma. Ūrmila era la figlia del re Janaka, ed era molto virtuosa; il suo spirito di sacrificio e la sua generositą non trovano uguali. Essendo all'oscuro degli ultimi avvenimenti, stava dipingendo un quadro circa l'incoronazione di Rāma che voleva inviare a suo padre Janaka. Quando Lakshmana entrņ inaspettatamente, chiamandola a voce alta, ella era cosģ concentrata nel suo lavoro che si spaventņ e saltņ su di scatto. Nell'alzarsi, inavvertitamente versņ del colore sul quadro che stava dipingendo, e si rattristņ molto per averlo rovinato.

Allora Lakshmana le disse: "L'incoronazione di Rāma č annullata a causa di Kaikeyi, ed il quadro dell'incoronazione che stavi dipingendo č rovinato a causa mia, ma non preoccupartene". La informņ inoltre che avrebbe accompagnato Rāma e Sītā nella foresta per servirli.
Ūrmilā fu contenta della sua decisione, e non gli chiese di poterlo seguire, ma aggiunse: "Caro marito, mia suocera Sumitrā diede alla luce te e tuo fratello Satrughna per seguire il sentiero del servizio. Tu devi servire Rāma, mentre Satrughna deve servire Bhārata. Adempi quindi con dedizione i tuoi doveri, e per nessun motivo devi pensare a me durante i quattordici anni che starai nella foresta. Se tu pensassi a me anche per un solo istante, non potresti servire Sītā e Rāma con tutto il cuore. Pensa sempre soltanto al loro benessere, e servili diligentemente. Dimenticati di me per i prossimi quattordici anni".

Quale moglie avrebbe parlato in modo cosģ determinato e disinteressato? Nessuna. La sua magnanimitą ed il suo completo altruismo indussero Lakshmana alle lacrime; egli la lodņ dicendo: "Ūrmilā, non immaginavo che tu potessi avere un cuore cosģ grande, serberņ sempre in me i tuoi nobili propositi". Ūrmilā rispose: "Non pensare ai miei nobili propositi. Pensa alla nobiltą di Sītā e Rāma ed obbedisci ai loro ordini, prenditi la massima cura di loro in modo che non debbano incontrare disagi".
Voi potrete fare ricerche in tutti i mondi, ma mai riuscirete a trovare una madre cosģ nobile come Sumitrā, ed una moglie cosģ virtuosa come Ūrmilā.

Durante la guerra fra Rāma e Rāvana, un giorno Lakshmana cadde svenuto sul campo di battaglia. Vedendo il suo amato fratello in quelle condizioni, Rāma, molto sconsolato, versņ lacrime di dolore. "Anche se dovessi cercare in tutto il mondo, potrei trovare un'altra moglie come Sītā, ma certamente non un altro fratello come Lakshmana. Como posso vivere senza di lui?"

I dottori presenti sul posto dissero: "Lakshmana potrebbe ritornare in vita con l'aiuto di un'erba medicamentosa chiamata "Sanjivini" che si trova su una particolare montagna". Allora Hanuman immediatamente volņ verso quella montagna; non sapendo, perņ, riconoscere l'erba, sradicņ l'intera montagna e, portandola con sé, fece ritorno.
Mentre volava su Nandigrama, trasportando la montagna, Bhārata lo scambiņ per un demone e gli lanciņ contro una freccia. Hanuman precipitņ gił insieme alla montagna.

La gente di Nandigrama e di Ayodhyā accorse e lo circondņ. Hanuman offrģ i suoi rispetti a tutti i presenti, poi si rivolse a Bhārata e gli disse: "Tuo fratello Lakshmana č caduto sul campo di battaglia ed ha perso conoscenza. I dottori hanno richiesto l'erba Sanjivini per farlo rinvenire, ma non sono stato in grado di identificare l'erba esatta e perciņ ho portato con me l'intera montagna".

Nell'apprendere che Lakshmana era svenuto e che Rāma era affranto dal dolore, tutti coloro che si erano riuniti piansero sconsolati, specialmente le donne che erano inconsolabili. Hanuman guardandosi intorno, trovņ tutti in lacrime, ad eccezione di una donna: Sumitrā, la madre di Lakshmana, la quale osservņ: "A Rāma non potrą mai succedere nulla di male, e mio figlio Lakshmana recita incessantemente il Suo Nome, ogni cellula del suo corpo č satura del Divino Nome di Rāma; perciņ anche a lui nulla puņ succedere". Ferma in questa convinzione, ella rimase composta.

Poi Bhārata portņ Hanuman da Ūrmilā e glielo presentņ. Ella non uscģ mai dalla sua stanza, per ben quattordici anni rimase nella stessa stanza in cui si trovava al momento della partenza di Lakshmana per la foresta, finché il marito non fece ritorno. Tale era la sua determinazione. Ella chiese a Hanuman da dove arrivasse. Hanuman le raccontņ in dettaglio quello che era successo dal momento in cui Lakshmana era svenuto sul campo di battaglia. Alle parole di Hanuman, Ūrmilā rise e disse: "Hanuman, ma non lo sai? Anche il respiro di Lakshmana č saturo del Nome Divino di Rāma. Come puņ succedere qualcosa di pericoloso ad una persona del genere?"

Alla devozione ed al senso d'abbandono di Ūrmilā e Sumitrā non viene dato rilievo in nessuna parte del Rāmāyana; di fatto, esse erano l'incarnazione della rettitudine e dell'amore. Gli ideali da esse rappresentati brillano come fari di luce in questo mondo.
Ognuno di voi deve diventare Su-mitra, un buon amico e Su-putra, un figlio ideale. Oggi il paese ha bisogno di uomini e donne ideali.
Sebbene siano trascorsi migliaia di anni, la gloria del Rāmāyana non č diminuita neppure un po', tanto che esso continua a rimanere nuovo e fresco nel cuore della gente.

Chi recita il Nome di Rāma e ha la visione della Sua Forma Divina non avrą rinascita. Ecco perché il Saggio Vālmīki ha esaltato la grandezza del potere di Rāma e del Suo Nome.

Swami intona il Bhajan "Rāma Kodandka Rāma...." Poi continua il Suo discorso.


Incarnazioni del Divino Amore!

Non c'č Amrita, Ambrosia Divina, pił grande del Nome di Rāma. Oggi la gente ha dimenticato la contemplazione del Nome Divino, ripete i nomi degli attori del cinema, ma non quello di Dio. Ecco perché la nazione incontra cosģ numerose difficoltą; gli eruditi, gli intellettuali e gli scienziati non pensano mai a Dio. Certa gente considera indegno mettere la Vibhuti, la cenere sacra, sulla fronte. Se la mettono quando sono in casa, e poi la strofinano via nel momento in cui devono uscire, ciņ č diventato una moda!

Perché vergognarsi di cantare il Nome di Dio? Lasciate che la gente dica ciņ che vuole; non dovete averne paura. Diffondete la gloria del Nome di Rāma in ogni angolo del mondo. Potete cantare qualsiasi Nome di vostra scelta: Rāma, Krishna, Govinda, Shiva, ecc.
Da quando la gente ha dimenticato il Nome Divino, ogni casa č senza pace e ci sono conflitti persino tra fratelli; poiché manca la purezza interiore, si sono infiltrati sentimenti peccaminosi, e la gente corre dietro al denaro ed al potere. Denaro e potere possono forse proteggervi? C'č tanta gente al mondo che ha una quantitą di soldi ed occupa posizioni autorevoli. Godono forse costoro di pace e tranquillitą? No, no. Solo il Nome Divino puņ donarvi pace e felicitą. Chi trascura il Nome di Dio va incontro alla rovina.

La sillaba 'Ma' č la forza vitale del Mantra dalle cinque sillabe:
Om Namah Shivaya.
Se si toglie 'Ma', diventa Na Shivaya che ha un significato negativo, non auspicale.

Allo stesso modo, la sillaba 'Rā' č la forza vitale del mantra dalle otto sillabe:
Om Namo Nārāyanaya.
Il Nome Divino di Rāma č formato, quindi, dalla forza vitale del sacro suono 'Ma', e da quella del sacro suono 'Rā'.

Studenti! Devoti!
Cantate il Nome Divino, questo solo puņ proteggervi! Denaro e potere sono come nuvole passeggere, non eccitatevi al proposito. Ci si puņ mettere in politica ed ottenere posizioni di prestigio, ma per quanto tempo si puņ restare al potere? In qualsiasi momento vi potete trovare sloggiati da queste posizioni autorevoli. Non lasciatevi trascinare dalla politica, prendete invece rifugio nel Nome Divino. Benedetto e veramente meritevole č solo chi ha il cuore pieno del Nome del Signore.

Quelli che non apprezzano il Nome Divino possono divertirsi alle vostre spalle, e qualcuno potrą anche dirvi che non c'č nessun Dio; ma quale deve essere la vostra risposta? "Puņ non esistere per te, ma Dio esiste per me. Chi sei tu per negare l'esistenza del mio Dio?" Nessuno ha alcun diritto di negare Dio.
Ovunque vi troviate, ed in qualsiasi situazione non dimenticate il Nome di Dio.


Sempre, ovunque, in ogni circostanza vi sia la contemplazione di Dio.
(Versi Sanscriti)


Bhagavān ha concluso il Suo Discorso cantando il Bhajan: Rāma Rāma Rāma Sītā ...


Note:

1) Curd - Latte rappreso, non salato, leggermente inacidito (tipo yogurt).
2) Ashvamedha Yāga - Il Sacrificio del Cavallo č un rito che garantisce al sacrificante ricchezza, prosperitą ed una lunga
signoria. Il reale significato interiore di tale rito č, di fatto, quello della distruzione della mente capricciosa ed errante,
simbolizzata dal cavallo.
3) Putrakāmesti Yāga č una cerimonia prescritta per coloro che desiderano procreare un figlio maschio.
4) Vashista fu il sacerdote di famiglia dei sovrani della Dinastia Solare e fu anche contemporaneo di Rāma.
E' uno dei setti Saggi che, a carattere stellare, compongono la Costellazione dell'Orsa Maggiore.
5) Vishvāmitra fu uno dei pił importanti Saggi che comprese, comunicņ e cantņ gli inni del Rig Veda. Il suo
nome significa "Amico di tutti - che desidera il bene del mondo". Egli trasmise oralmente ai posteri il potente
Gāyatrī Mantra.
6) Parashurāma - Celebre guerriero appartenente dalla casta dei sacerdoti, famoso per i poteri acquisiti con le sue
pratiche ascetiche, e per aver sterminato la casta dei guerrieri.