DISCORSO DIVINO

Un Dio per amico

20 maggio 2000

Shiva è l'eterno Jîva e il Jîva è sempre Shiva.
Colui che ha capito l'unità dei due è un vero sapiente.



Autorità degli esseri umani

Incarnazioni del Divino Amore,
Shiva è Dio; Shiva è l'anima di ciascun individuo e l'individuo è Shiva, divino. La persona che ha compreso l'unità di entrambi è un autentico saggio, un'anima realizzata.

Studenti e studentesse, è ben raro avere una nascita umana. In che modo il Divino sarà presente in quella nascita? "Io sono lo Spirito che è in ognuno", affermano le Scritture. Ecco la dimostrazione: è unico. Il senso di unità è la verità che lo prova e soltanto l'uomo ha la facoltà di riconoscere la propria divinità.

Nell'uomo ci sono cinque involucri: l'involucro del cibo, dell'energia vitale, della mente, dell'intelletto e della beatitudine. Il quarto involucro, la razionalità, è proprio solo dell'uomo; le altre creature ne sono sprovviste. Quindi, all'uomo spetta un'autorità prioritaria. È solo l'uomo che è in grado di ottenere la saggezza, grazie alla quale gli è possibile intravedere in tutti il principio dello Spirito. Se non è divinità questa, che cosa sarà?

Tre qualità dalla Natura e illusione

Non è tutto. In molti modi si è spiegato che l'individuo è anima o spirito, e che lo spirito è divino. Inoltre, anche nell'uomo vige lo stato di moha (1) che esiste in tutti gli altri esseri.
Quindi, in tutte le creature esiste moha, ma solo l'uomo è in grado di distruggere questa illusione per raggiungere la liberazione. Da questo si deduce che l'uomo è divino. Tale divinità non ha solo la caratteristica dell'unità, bensì risulta evidente anche nella diversità.

Alla base di mâyâ, l'illusione, ci sono tre qualità: sattvas, rajas e tamas, (che potremmo identificare con tre stati: calma, attività e inerzia).
Moha trova sostegno in tre elementi: il denaro, la vita a due (2) e la prole.
Una volta trascesi i tre guna, l'uomo prenderà le distanze dall'illusione e non sarà più un essere umano ordinario. Se vuole sottrarsi all'influsso di mâyâ, dovrà evitare di farsi condizionare da sattvas, rajas e tamas: finché queste tre qualità perdurano, l'illusione non molla la sua presa.

In che modo ci si può liberare dall'attaccamento, da moha? Moha svanisce quando non si dipende più dal denaro, dal coniuge e dai figli. Vale a dire che, se si vuole distruggere moha e vivere senza preoccupazioni, bisogna rinunciare a quei tre attaccamenti.

La Bhagavad Gîtâ descrive la Divinità come ciò che è mobile ed immobile; due qualità queste che si riscontrano in tutte le creature viventi: "Io sono coloro che non tentennano e hanno una solida fede". In ogni uomo c'è incertezza e stabilità. Se s'immerge un vaso di terracotta nell'acqua, l'acqua gli sta attorno e dentro. Così è di Dio, che "è sia dentro che fuori". Se si pone del ferro sul fuoco, ci sarà calore sia sulla sua superficie che all'interno. Così la divinità è una qualità che sta sia all'interno sia all'esterno dell'uomo.

Riflesso dell'essere interiore

Non sono due posizioni: ciò che è immanente, latente, lo Spirito, si riflette all'esterno. Lo chiamano "riflesso dell'essere interiore".
Ogni singola parola che esce dalla vostra bocca è un riflesso di ciò che avete dentro. Se non ci fosse alcuna realtà all'interno, non potrebbe assolutamente generarsi un riflesso. Per cui, è ovvio che dentro c'è qualcosa che riflette esteriormente. Un suono fa parte della natura interna dell'oggetto che lo produce esteriormente. L'azione è intrinseca, la reazione la estrinseca: riflesso, reazione, risonanza. La combinazione tra azione e reazione, suono e risonanza, oggetto e riflesso, è una prova della realtà.

Educazione interiore

Gli antichi saggi, detti mahârishi, hanno divulgato per tutto l'orbe questa verità; gran parte di loro vide l'unità della realtà interiore col suo riflesso. Tali insegnamenti trasformarono degli uomini comuni in persone di grande levatura spirituale. La scienza e l'istruzione d'un tempo era tutta intrisa di significati profondi, non si fermava allo studio accademico di testi e non era finalizzata a piaceri materiali. Tutta la conoscenza di allora puntava alla saggezza interiore.

Ci fu un'epoca iniziale in cui la popolazione mondiale era di alcuni milioni di esseri umani. Oggi l'incremento demografico ha fatto raggiungere i sei miliardi: aumenta la popolazione, ma è in declino l'innato desiderio di liberazione, che invece nell'antichità era intenso, ardente. Un tempo il 75% della gente aveva quest'anelito; oggi nemmeno il 20% ci pensa.

Qual è la ragione? La gente d'oggi pensa solo a soddisfare desideri mondani e si serve dei titoli di studio solo per migliorare i propri guadagni.
Un'istruzione che serve solo a riempire la pancia non può indicare la via della liberazione, non ne inculca nemmeno il desiderio. L'istruzione odierna aumenta il desiderio di ciò che è illusorio. I discepoli dei tempi antichi distruggevano moha e desideravano moksha.

Che cos'è moha? Anche gli uccelli e le belve selvatiche dipendono da moha. C'è bisogno di studiare o di seguire una certa disciplina per mantenere degli attaccamenti e per sopravvivere? Un tempo, la gente sacrificava gli attaccamenti, che invece oggi sono in crescendo, e diceva: "Non ne ho bisogno".

Maestri e allievi del passato

L'odierno modo d'istruire, però, ha preso vie perverse. Quando un tempo qualcuno aveva ottenuto il pane per vivere, passava il resto della sua vita con il cuore pieno di gratitudine, manifestandola in tutte le maniere al guru che gli aveva insegnato il modo di guadagnarselo. Il discepolo era disposto a donare qualunque cosa gli chiedesse il maestro come gurudakshinâ, l'offerta rituale che si usa fare al guru.

I maestri e i discepoli di quel tempo avevano un comune senso del sacrificio. Ma come sono i discepoli d'oggi? L'istruzione odierna ha progredito moltissimo; ma che progresso è se chi ha ricevuto gli insegnamenti della vita manda in rovina, beffeggia chi l'ha aiutato od offende coloro che gli sono vicini. Ecco che tipo di progresso c'è oggi, ma è vero progresso? Non è piuttosto strano?

C'è un abisso tra la scuola antica e quella moderna e, laddove c'era qualche segno d'identità, ha potuto subire delle modifiche o essere completamente trasformata. Infatti, la norma morale e l'etica sono state confinate nei libri, il cuore è diventato un maleodorante ritrovo di oscenità e le mani si sono chiuse per egoismo. E questo sarebbe il progresso della cultura odierna! Dobbiamo seguire in pratica questa educazione?

Drona ed Ekalavya

In epoche passate vigeva un profondo senso di umiltà e di obbedienza ed Ekalavya era proprio uno che aveva queste virtù, al punto che offrì persino una parte del suo corpo al guru come gurudakshinâ. Aveva eletto come suo guru Drona, anche se non l'aveva mai incontrato e non aveva mai ricevuto lezioni di tiro all'arco. Drona era comunque il suo unico maestro in cui porre ogni fiducia, sebbene Drona non l'avesse accettato come discepolo.

Completamente assorto nella contemplazione del maestro, Ekalavya imparò a tirare all'arco. Alla fine Drona si decise ad andare nella foresta, accompagnato da Arjuna; questi aveva con sé due cani, i quali al vedere un uomo, si misero ad abbaiare. All'udire quel rumore, Ekalavya scoccò una freccia, che andò a conficcarsi dritta in gola al cane. E non ne scoccò una sola, bensì cinque o sei, tutte nella gola del cane.

Arjuna, vide la scena e disse: "Chi ha avuto tanta perizia nel tiro all'arco da capire il bersaglio solo udendo il suono di provenienza?" Si mise a cercare per la foresta e s'imbatté in un uomo dall'aspetto tribale: era Ekalavya. Arjuna lo avvicinò e gli chiese: "Signore, siete voi che avete tirato queste frecce?" "Sissignore", rispose. "Chi è il vostro guru?" "Il mio guru è Drona".

E Drona, che era proprio accanto ad Arjuna, negò mentendo: "No, non sono io il suo guru" "Swami, - riprese Ekalavya - tu sei l'unico ad occupare il mio cuore; non c'è nessun altro guru. Là dentro c'è la tua immagine e, grazie ai miei sentimenti verso di te, ho potuto apprendere l'arte del tiro all'arco, senza aver bisogno di incontri fisici. Ho imparato mentalmente".

A quell'epoca l'istruzione non consisteva soltanto nell'apprendere l'alfabeto; allora non esistevano assolutamente i libri, né la carta per scrivere. L'insegnamento era affidato alla trasmissione orale: con l'acquisizione di nozioni verbali, o akshara, egli raggiunse l'Akshaya, ossia l'Imperituro. Akshaya significa "Divino", la forma di Dio. Dio ha l'aspetto di ciò che non perisce (akshaya). Così, giunse al Divino mediante il suono della voce del maestro.

Per far contento Arjuna, Drona disse ad Ekalavya: "Se io sono il tuo unico guru, mi devi l'offerta rituale". A volte, concedetelo, anche un maestro può eccedere; ma in questo caso fu il discepolo ad essere senza difetti:
"Che cosa vuoi, Swami?", chiese a Drona; e questi rispose: "Dammi il pollice della tua mano destra". Ad Ekalavya non sarebbe stato più possibile tirare all'arco ed Arjuna sarebbe stato il miglior arciere del mondo, senza eguali.
Per accrescere il nome e la fama di Arjuna, Ekalavya dovette offrire il suo pollice! I discepoli di allora erano disposti a tutto. Prese il pugnale, si recise il pollice destro e l'offrì al guru.

Offrendo il pollice destro,
perse il primato del tiro all'arco.
Con questo gesto umiliò se stesso,
perdendo ogni beneficio derivante
dall'abilità del tiro all'arco.

Ma in questo modo offrì tutta la sua vita al maestro.
Davvero intenso era a quel tempo il sacrificio dei discepoli: di qualunque cosa si trattasse, erano disposti a sacrificarla, fosse anche la vita, al guru. Come sono i guru e i discepoli d'oggi? Un mantra sussurrato all'orecchio e del denaro che si passa di mano in mano. Ecco in che rapporto stanno oggi guru e discepoli. Non è più come quello d'un tempo.

I guru d'allora avevano radicati sentimenti d'amore, simile a quello che ha una madre per il figlio; trattavano i discepoli con l'affetto di un padre verso il figlio. Quando a un maestro nascono dei figli, questi sono soggetti ad attaccamento; ma quando il maestro insegna la conoscenza, genera dei figli che dipendono dall'amore. Ogni essere umano dovrebbe essere un figlio dell'amore in questo senso. Così impartivano la conoscenza i guru antichi.

In effetti, Drona tradì molto il suo discepolo. Yat bhavam, tat bhavati:
"Ogni sentimento ha il suo risultato". Tradendo così gravemente il discepolo, avrebbe potuto sfuggire suo figlio dall'essere a sua volta tradito? Qualsiasi cosa facciamo, ne godremo il risultato. Perciò, reazione-risonanza-riflesso: non ci si sfugge. Quindi, occorre essere dei discepoli santi.
Gli studenti d'oggi non fanno che perdere del tempo. Il tempo non va usato tutto per studiare, ma bisogna farne buon uso dando soddisfazione al guru.
Ci dev'essere equilibrio in tutto; senza di esso non è possibile ottenere assolutamente alcun buon risultato.

Vâli e Sugrîva

Una volta vivevano Vâli e Sugrîva, due anime gemelle che avevano lo stesso alito di vita. Tuttavia, a causa di determinate ragioni, tra loro s'insinuò dell'ostilità. Vâli viveva al villaggio e Sugrîva, che viveva in montagna, si poneva il problema di come sopraffare Vâli, come vincerlo. È ovvio che ci vuole uno che sia più forte di Vâli per sottometterlo. Se la forza è uguale non ci sono probabilità di vincere. Non c'era quindi nessuno ad aiutare Sugrîva, che si trovava sul monte Chitrakoot. L'unico che lo aiutava era Hânûman.

Lo chiamò e gli chiese quale sarebbe stato il modo migliore per avere vittoria su Vâli. Hânûman diede un ottimo consiglio. Disse: "Quando il momento, le circostanze, le cause e l'azione si vengono a congiungere favorevolmente, il risultato verrà da sé. Sugrîva, aspetta il momento giusto; ci sarà un giorno in cui questo momento verrà". Furono molto felici di quella soluzione.

Quando andarono intorno alla cima della montagna, videro due fratelli, che sembravano due gioielli. Al vedere questi due esseri splendenti col volto raggiante, simili a due angeli, si domandarono se provenissero dall'Indra-loka, cioè dal Paradiso.
A quella vista, Sugrîva chiese immediatamente a Hânûman: "Chi sono? Informati; non sarà che mio fratello li abbia inviati sotto mentite spoglie per uccidermi?" Loro, che non avevano paura di nessuno, avevano quel timore.

Hânûman disse: "Non temere. Quei due esseri radiosi sono degli dei. Vado e torno". Si congedò da Sugrîva, poi scese dal monte, li vide entrambi venire incontro a dirgli la verità: "Io sono Râma e questi è Lakshmana. Siamo figli del re Dasharatha. Per ordine di nostro padre, stiamo assecondando il desiderio della nostra matrigna. Noi viviamo nella foresta, mentre suo figlio vive ad Ayodhyâ per essere incoronato. Mentre ci aggiravamo per la foresta, qualcuno ha rapito mia moglie Sîtâ. Siamo venuti sin qui per cercarla".
Era la verità, perché un sovrano dovrebbe sempre dire il vero.

La carità è l'ornamento della mano.
La verità è l'ornamento del collo.
L'ascolto dei testi sacri è l'ornamento delle orecchie.

Quali altri gioielli vorreste avere?

Ogni parola che si proferisce dovrebbe essere verità. Grande è l'energia che hanno le incarnazioni di verità come queste. Hânûman disse: "Swami, c'è qui il nostro re Sugrîva. Lui sarà in grado di dirti dove si trovi tua moglie".
Poi li fece sedere entrambi sulle sue spalle e li trasportò fino alla cima della montagna.

Sugrîva, appena li vide, si sentì riempire di gioia estatica e dimenticò tutta la sua tristezza. Finalmente riapparve il sorriso sul suo volto, che da tanto tempo era rabbuiato. Espresse un desiderio: "Swami, riposati un po'. Prendi qualche frutto o dell'acqua fresca". Tuttavia Râma non prese nulla; niente più gli era gradito. La separazione da Sîtâ era divenuta insopportabile.

La scelta dell'amico

Trascorsero dei giorni. Il secondo giorno, Sugrîva voleva diventare amico di Râma. Chi si dovrebbe cercare per amico? Non certo uno che si possa chiamare tale solo come proforma. Non è un vero amico quello che dice di esserlo solo per qualche tempo, giusto per darti un contentino. Il vero amico ti dice la verità, si sottopone a sacrifici per te e ti dà protezione. Due amici sono come due corpi con un solo respiro vitale.

"Voglio un amico come quello, - disse Sugrîva - Vâli è fortissimo; è impossibile misurarne la forza e la capacità. Perciò, debbo farmi amico uno che lo superi in forza e capacità". A quel punto ebbe il dubbio che Râma possedesse una simile forza suprema.

Sugrîva gli si avvicinò e gli chiese: "Râma, che alberi sono questi?"
"Sono fichi", rispose Râma. Il fico è molto viscoso; è un grosso albero. Ce n'erano sei, tutti allineati. "Allora, - proseguì Sugrîva - il mio fratello maggiore Vâli, scoccando una freccia, ne ha attraversati due. Ci vuole uno che sia ben più forte di lui per attraversarne più di due.
Râma scoccò una freccia, che attraversò tutti e sei gli alberi. Sugrîva cadde immediatamente ai piedi di Râma: "Io voglio l'amicizia di un potente come te". Ma, dove trovare un uomo che sia forte a tal punto? Nella manifestazione fisica di Dio. "Bene. È l'amicizia di costui che voglio avere". Con questo pensiero, si mise a interpellare per strada Hânûman.

Il secondo giorno accesero un fuoco, davanti al quale, come a un testimone, Sugrîva fece questa promessa a Râma: "Râma, da oggi in poi io sarò il tuo servitore; da questo giorno, tu sei il mio maestro. Distruggi la mia sofferenza; dammi coraggio, fammi osare; rendimi intrepido e vittorioso". A questa promessa Râma rispose con l'uccisione di Vâli e la vittoria di Sugrîva.

Tutto ciò significa che, se vogliamo avere il sopravvento su qualche nemico, se vogliamo ottenere una vittoria sicura, l'amico che ci siamo scelto come alleato dev'essere più forte del nemico che dobbiamo sconfiggere. Solo a quella condizione è possibile ottenere il successo; è questo il modo in cui anticamente si creava un sacro legame tra guru e discepolo.

Râma dovette mettere alla prova Hânûman, ed Hânûman era pronto per fare le ricerche di Sîtâ. Râma non ne aveva alcun dubbio; non si pose mai la domanda se fosse in grado di adempiere quel compito o no, mentre Sugrîva, che era un uomo ordinario, fu preso da ogni genere di dubbio. Inoltre, Sugrîva fu persona di grande intelligenza ed istruzione. E sono proprio i colti e gli intellettuali che sono sempre pieni di dubbi. Sono loro che dubitano sempre di tutto e non hanno fiducia nemmeno in sé stessi.

La cultura moderna

Gli intellettuali fanno risalire tutto alla ragione, causa principale dei loro dubbi; non vedono nulla al di fuori dell'intelletto, che cercano di avere sempre in maggior misura, senza mai occuparsi della sua qualità.

L'istruzione moderna aumenta le capacità intellettuali, ma non sviluppano la minima traccia di virtù.

A che serve tanta intelligenza? È stato detto che la cultura senza virtù è cieca. Le virtù sono necessarie; senza virtù e senza l'energia di Dio non si riesce a combinare nulla.

Karna

Karna fu un guerriero molto audace; ma, per quanta forza avesse, si allontanò da Dio, poiché si allontanò dalla rettitudine. A che serve dunque essere tanto ricchi o potenti? Lontano dalla potenza di Dio, si diventa schiavi. Karna possedeva forza e virtù, ma non fu capace di metterle a servizio di Dio, non divenne un servitore di Krishna, sprecando così tutta la sua intelligenza. Ecco la fine di un uomo come Karna, che, pur essendo pieno di energie e capacità, perse la battaglia.

La forza della devozione

La Grazia di Dio bisogna meritarsela e bisogna seguire a questo scopo il sentiero della rettitudine: quando Dio e Dharma vanno di pari passo, ci saranno le forze.
Studenti e studentesse, è importante che vi rendiate conto dell'inutilità di attenersi alla conoscenza dei libri. Certo, questo è il tempo in cui dovete studiare sui libri, è tempo d'istruirvi. In ogni caso, senza la forza della devozione, la cultura non serve a niente. La devozione è una condizione necessaria, senza la quale, tutto il resto perde valore, quand'anche si possedessero tutti i poteri. Potete dunque pensare quanto fosse sacra la natura degli studenti d'un tempo, quando la devozione era intensa e nel loro cuore sbocciavano sentimenti divini. Qualsiasi loro idea o pensiero era raggiante. Tutto è vano nella vita di uno che non ha un carattere virtuoso.

Prahlâda e Devendra

Tutti voi conoscete Prahlâda. È il vostro compagno di classe! Prahlâda era giovanissimo; aveva la vostra età, un ragazzetto come voi. Eppure, nonostante quella tenera età, che carattere e che virtù! Perciò, in molte maniere ebbe la meglio su molti.
Uscì vittorioso perfino su Devendra (altro nome di Indra), al punto da impossessarsi della Dimora di Indra, il Paradiso. Devendra pianse molto e si rivolse al precettore degli dei: "Maestro Shukrâchârya, devi restituirmi il mio regno che costui mi ha tolto". E Shukrâchârya rispose: "A nessun altro è possibile ottenere il regno conquistato da Prahlâda, tranne da colui che saprà tenere sotto controllo la mente come lui e gli sarà gradito". Il figlio di Prahlâda era Virochana, un altro grande uomo. Ma a che serve avere tante persone?

Un giorno, il precettore dei deva chiamò Devendra, e disse: "Prahlâda celebra un sacro rituale che si chiama Vishvajit. Va' da lui durante uno di questi yajña e chiedigli l'elemosina". Così Devendra assunse l'aspetto d'un giovanissimo bramino e andò da Prahlâda, il quale aveva un grande affetto per questa categoria di persone. "Che cosa desideri?", gli chiese Prahlâda.
"Non voglio assolutamente nulla. Fammi solo la carità del tuo carattere e della tua virtù", rispose Devendra. Rispose Prahlâda: "Oh, che follia!
Non vuoi nulla da me e ti accontenti di così poco?" "A me basta" "Va bene.
Ti darò ciò che chiedi. Ecco. Ora puoi andare".

Il carattere, splendente, brillante, radioso e scintillante se ne partì da Prahlâda, incurante della cosa, e andò ad immergersi in Indra. Dopo un po' di tempo si presentò un altro grande guerriero e Prahlâda gli chiese chi fosse. "Sono al servizio del Regno di Lakshmî; - gli fu risposto - era il tuo regno che hai perso rinunciando al tuo carattere. Orbene, perché mai dovrei rimanere ancora con te, se sei privo di carattere. Perciò, con la partenza del tuo carattere, me ne parto anch'io".

Passò dell'altro tempo, e un altro grande guerriero valoroso si presentò:
era nientemeno che il Comandante in Capo, il quale pure se ne andava.
"Perché te ne stai andando?" "Hai perduto il regno e con esso i suoi valorosi guerrieri. Che ci sta a fare un Comandante senza esercito?" A questo punto Prahlâda comprese che, con la perdita del carattere, era andato perduto anche tutto il resto.

Alla fine, si mise di nuovo a pregare: "Nârâyana, Nârâyana, Nârâyana! Io non ho bisogno né di un regno, né di un esercito, né di guerrieri. Non ho bisogno di niente all'infuori di una sola cosa: ridammi il mio carattere".
Perciò, Prahlâda, non si era reso conto di quanto fossero importanti le virtù e l'unicità del carattere e, dopo averlo perso, comprese che nel carattere ci sono tre quarti della vita.

Ecco la ragione della sua preghiera, "Rivoglio il mio carattere".
Apprezzando il sacrificio di Prahlâda, Devendra lo benedisse e gli restituì il carattere.
Pensate dunque quanto sia importante il carattere d'un uomo! Non c'è forza più grande di questa. È qualcosa che nasce dal comportamento, non da dentro.
Dipende dal modo in cui ci comportiamo e dalle qualità che coltiviamo.
Se le qualità sono buone, anche il comportamento sarà buono. Anche il buono o il cattivo stato di una nazione dipende dalle qualità degli uomini che la popolano. Il benessere di una nazione dipende dalla condotta dei cittadini virtuosi.

Il libro del mondo e l'amico Dio

Incarnazioni dell'amore, studenti, per prima cosa sviluppate nella giusta direzione il vostro carattere. C'è un grosso libro che dovete leggere:
è il libro del mondo. Là dentro sono racchiuse tutte le informazioni. Chi sarà l'insegnante di questa materia? Il vostro cuore sarà l'unico e solo guru.
Non parlo del cuore fisico, bensì del cuore spirituale. Quello è il vostro guru.

Voi avete un amico, e sapete chi è? Dio è il vostro amico (applausi).
Dunque, abbiate Dio per amico, il cuore per guru e il mondo per libro di studio da leggere quanto volete. Anche in quel testo c'è la cultura che dovete acquisire.

Ed è solo quella che merita il nome di pustaka, libro. Pustaka, il libro, è mastika, la testa. Perciò, leggete il libro della testa, non quello della carta dei libri, rammentando momento per momento che il cuore spirituale è il vostro guru.

Sappiate che il vostro amico, Dio, è sempre con voi, in ogni istante della vostra vita. Non potete mai lasciarLo. Egli è al vostro fianco.
"Sempre, in ogni momento, in tutti i modi, con tutti i mezzi, dovunque siate, in ogni
luogo ricordatevi di Dio", dicono le Scritture. Sì, Dio è con voi, in voi, sopra di voi, sotto di voi e vi protegge con ogni sistema. Ecco perché Dio è il vostro miglior amico! (applausi)

Non correte dietro agli amici del mondo, per rovinarvi la vita. Le amicizie del mondo sono egoistiche; quegli amici vi seguono per loro piacere personale e per interesse. C'è una sola persona, Dio, che vi darà protezione senza volere nulla in cambio per sé, né per interesse. Egli non desidera nulla; in Lui non ci sono desideri né ambizioni di sorta e il Suo cuore è totalmente libero, vuoto, khâli. Questo cuore, che è khâli, diventa jâli, compassionevole, per gli amici. Scegliete per amico costui, che ha tanta compassione. L'amore di quel cuore è jâli, libero; è vero amore. È tutto quanto possiede. Dite un po', dove potete trovare un tipo simile di amore?

Tutto è bene per voi

Studenti, cominciando da oggi, abbiate in cuore sentimenti giusti; rispettate mamma e papà, gli anziani, fate loro namaskar; sceglietevi Dio per amico e santificate la vostra nascita e la vostra esistenza. Non date importanza al numero di prove cui vi sottopone Dio, pensate sempre che sono per la vostra protezione. Qualsiasi cosa Dio faccia, dite: "È per me, per il mio bene, per il mio bene!"

Se c'è un male alla stomaco, il chirurgo interviene col bisturi per aprirlo; non per questo il paziente odierà il dottore, che l'ha operato per eliminare il suo male. Perciò, anche Dio interviene con le Sue "operazioni" per il vostro stesso bene. Ci vogliono quegli interventi, vanno bene per voi, anche quando sono punitivi. Tutto ciò che Dio dona, è solo per amore; mai da Lui vien dato qualcosa per odio. Ma voi non sapete distinguere la qualità dell'amore presente nel Suo operato.

Ebbene, studenti, ciò che dovreste sapere ora è che nell'uomo ci sono tutti i poteri. "Lo Spirito che c'è in Me, c'è in tutti", recita un verso sanscrito. È un sentimento che dovreste avere costante in voi: il vostro stesso Spirito è quello di tutti gli altri. Uno solo è lo Spirito e, se l'uomo compisse il giusto sforzo, tutto il Suo potere si manifesterebbe in lui, tutta la Divinità si manifesterebbe, ed egli sarebbe in grado di raggiungere il quarto strato della saggezza.

Servi di Dio

"Fra tutte le forme, la vita umana è certamente la più rara da ottenersi", affermano le Scritture. Non è cosa facile nascere nella forma di essere umano. Nell'uomo ci sono tutte le facoltà, tutti i poteri: perché un siffatto essere dovrebbe star sottomesso come uno schiavo alle destrezze e alle strategie di altri? Mettetevi al servizio di Dio.

Siate il servo dei servi di Dio.
Rendete servigi ai servitori di Dio.
Siate benedetti, con moglie e figli,
dalla costante contemplazione di Dio.

Siate dunque i servi dei servi di Dio. Non fatevi schiavi di altri, e allora il mondo intero si disporrà al vostro servizio.

Se dipenderete dal desiderio,
diverrete i servi di tutti;
ma, se rinuncerete al desiderio,
il mondo intero sarà il vostro servo.

Allora, riponete tutti i vostri desideri in Dio; non c'è cosa migliore da fare. Dio vi proteggerà in tutti i modi e vi libererà.

Siate attenti mentre siete giovani

Studenti, la vostra età è un momento assai sacro della vita: è la vera età dell'oro. Santificatela, dal momento che ne avete l'opportunità; non dissacratela mai. Se la perdete per un solo secondo, ne subirete gravi perdite. Vi rendete conto di quale grazia avete?
È come quando si fa un gomitolo avvolgendo del filo: se vi cade, anche solo per un attimo, il gomitolo, vi accorgerete di quanti giri di filo sono andati perduti! Anche per una piccola caduta del rotolo, quanto lavoro si può perdere! Ma se si afferra bene nelle mani e non si lascia cadere, il lavoro procede bene. Così è della liberazione: mantenendosi tenacemente attenti alla santificazione della vita, senza momenti di distrazione.

Cultura sacra e profana

Incarnazioni dell'amore, studiate, perché è importante anche la conoscenza del mondo.

La scienza del mondo è per vivere, la conoscenza spirituale è per la liberazione.

È necessario possedere anche la scienza profana, poiché la vita quotidiana è incentrata su di essa. Tuttavia, la Scienza dello Spirito, la Brahma-vidyâ, è trascendentale. L'intelligenza che si acquisisce dalla scienza profana serve a riempire la pancia, mentre l'educazione spirituale porterà i suoi frutti anche al cuore. Ogni risultato giungerà a maturazione nel vostro cuore.

Quindi, coltivate l'apprendimento di entrambe le conoscenze: sono come la mano destra e la sinistra; la conoscenza spirituale è la destra, la conoscenza profana è la sinistra. Quest'ultima, la sinistra (left) un giorno o l'altro, dev'essere... lasciata (left); la conoscenza spirituale, la destra (right) è la cosa giusta (right) da acquisire e sarà vostro diritto (right) arrivare ad afferrare i Piedi del Signore con la mano destra.
La sinistra è debole e, come tale, va lasciata.
Tuttavia, poiché l'uomo deve camminare, ha bisogno di sinistra e di destra, sinistra-destra, sinistra-destra,... È naturalmente necessario, altrimenti non camminereste. Così, per camminare nel mondo, servono sia la destra che la sinistra. Ma il vostro unico obiettivo è la destra, il sentiero spirituale.

Incarnazioni dell'amore, meditate su Dio, tenetelo nella vostra mente, cantate i bhajan. Spargete per il mondo intero la maestà, l'utilità e i vantaggi di questi bhajan...

Govinda Krishna Vittale...
Vahe guru vahe guru...


Brindâvan, Sai Ramesh Hall, 20 Maggio 2000.
Corso Estivo
Versione integrale.



Note:

1 Moha, a differenza di mâyâ (illusione), è un termine dalle molteplici sfumature, e useremo preferibilmente il termine sanscrito per comprenderle tutte. Significa infatti: illusione, infatuazione, sopravvalutazione, attaccamento, lussuria e delusione connessa alla sfera sessuale, un certo amore coniugale, passione per le cose materiali, ecc.

2 Traduciamo con "vita a due" il termine "wife", usato da Swami, per evitare di ingenerare l'idea parziale che sia la donna la causa unica di moha.
Nelle Scritture vediche e nei commentari di Shankara si fa spesso uso del termine "moglie", per indicare il simbolo di un forte attaccamento alla vita.
Lo stesso Râmakrishna Paramahamsa, in molti suoi discorsi usava ripetere il trinomio "denaro, moglie e progenie" come la base di tutti gli attaccamenti e l'impedimento alla realizzazione. Non si tratta di una forma di misoginia né di un rigido moralismo, bensì di una schietta analisi dell'inganno in cui cadono gli uomini a causa dei loro amori disordinati.