DISCORSO DIVINO

La vera disciplina spirituale

4 luglio 1996

Con azioni meritevoli, sacrificio ed un sentimento d’amore,

tenendo sotto controllo tutte le qualità demoniache

e nutrendo sempre amore assoluto e devozione per Dio ,

conduci, o uomo, la tua vita quotidiana.



Incarnazioni dell’Amore Divino,

la nascita dell’uomo è molto rara. Avendo assunto questa forma umana, è davvero un peccato non gioire della pace che vi si cela. Pur non accorgendosene, l’uomo subisce varie trasformazioni dalla nascita fino alla morte. In questo mondo, ci sono innumerevoli cambiamenti, modificazioni, alterazioni e fatti che si ripetono, di cui l’uomo non è neppure consapevole.

Quando è un bambino, egli passa il suo tempo giocando con gli amici e, da ragazzo, insegue il gentil sesso. Ma durante la vecchiaia, invece di cercare Dio, vive lamentandosi e compatendosi per tutto quello che non ha avuto. Non è capace di rinunciare alle cattive abitudini, non gli interessa la devozione, rovina se stesso e sciupa la sua vita, riducendosi infine a polvere.

Seppure molto intelligente, egli trova difficoltà ad indirizzare questa sua qualità nella giusta direzione . Non ne fa un corretto uso, pur sapendo che cosa è giusto, e non accetta le dovute responsabilità attribuendo tutto all’illusione (maya). L’illusione non esiste se non come parola. Proviamo a pensare come questo mondo, che ci propone ogni genere di attività giocosa mandandoci in estasi, sia solo un’illusione.

Gli studiosi definiscono l’illusione una ballerina (narthakî). Essa, infatti, fa danzare tutti. Come possiamo controllarla? Narthakî è composta da tre sillabe: na, rtha, e ki. Se anagrammate la parola narthakî, otterrete il termine kirthana che significa “cantare la gloria del Signore”. Così facendo, si può controllare narthakî, la ballerina o illusione. Questo è il cammino della devozione.

Per comprendere la natura di questo mondo e comportarci di conseguenza, è necessario capire il seguente esempio. Una persona che viene sommersa dall’acqua non può parlare; solo chi ne è fuori è in grado di farlo. Allo stesso modo, colui che è totalmente immerso nell’Amore non può descriverne la natura, mentre colui che vive al di fuori dell’oceano di questo Amore può parlarne solo superficialmente. Questa è la situazione disperata nella quale si trova l’umanità al giorno d’oggi. È ridicolo parlare d’Amore senza averlo prima assaporato, senza averlo prima sperimentato.

Che tipo di pratica spirituale (sadhana) dovremmo intraprendere? In che cosa consiste la pratica spirituale? Significa dimenticare tutto ciò che non è il vero Sé, pensando soltanto al vero Sé (Âtma). Possedere la saggezza dello Spirito o Âtma, dimenticare tutto ciò che è transitorio, pensando a ciò che è invece permanente, mantenere vivo questo discernimento: tutto ciò è sadhana. Sadhana non significa alcun altro rituale o attività propiziatoria.

Molte donne si occupano dei propri doveri, dei lavori domestici e si prendono cura del marito e dei figli. Esse si rammaricano di non poter partecipare a riunioni di natura spirituale (satsang). Ma che cosa si otterrebbe prendendone parte? La vera sadhana è dedicarsi amorevolmente ai figli, tenere pulita la casa e render felice, in qualsiasi modo, il proprio marito. Preparare il cibo tutti i giorni, dar da mangiare ai figli ed al marito, mandarli a scuola ed in ufficio ed occuparsi con cuore lieto dei doveri domestici, è anche questo sadhana. Lo è altrettanto cucinare il cibo. Separare i sassolini dal riso e cuocerlo è quell’intenso sadhana che può essere definito Kshetra kshetrajna vibhâga yoga, Gunatraya vibhâga yoga, Âtma anâtma vibhâga yoga. Tutto il riso utilizzato è chiamato Kshetrajna o “Colui che conosce” e il sassolino gettato via si chiama kshetra.

Quando pulite la verdura dovreste pensare: “Sto tagliando con il coltello della saggezza tutte le mie cattive qualità, le laverò nell’acqua dell’Amore e le cuocierò con la fiamma della Conoscenza, aggiungendo il sale della costanza e le spezie della devozione”. Questo significa cucinare bene. La sera, la madre serve ai figli una frugale cena a base di puri. Quando preparate il puri non intristitevi perché non avete potuto partecipare ai bhajan; cercate invece di espandere ed ampliare il vostro cuore. Quando spazzate, non pensate che state pulendo la casa, ma piuttosto: “Sto ripulendo il tempio del mio cuore”. Tutti questi buoni pensieri equivalgono ad un sadhana, come lo è compiere il proprio dovere. Non c’è miglior sadhana che procedere lungo questo sacro sentiero.

Quante persone vestono di arancione pur non essendosi ancora disfatte del loro ego e dei loro attaccamenti? Adi Shankarâchârya, viaggiando attraverso il Paese, spiegava il significato dei Veda. Così fece, discutendone nei dettagli, durante un incontro con Mandana Mishra, la cui moglie Ubhaya Bharathi era donna di eccelsa cultura. Ella, dopo aver rinunciato a tutto, costruì un ashram insegnando il Vedânta ad altre donne. Un giorno, andando verso il Gange accompagnata dai suoi discepoli, notò un sannyâsi sdraiato sotto un albero che riposava con la testa appoggiata su di un vaso per paura che potessero rubarglielo. Notando la scena, Ubhaya Bharathi si rivolse ai suoi discepoli: “Guardate quest’uomo; pur affermando di aver rinunciato a tutto, rimane attaccato al suo vaso. Con un senso del possesso di tal natura come può esser definito un rinunciante?”

Il sannyâsi la udì. Ubhaya Bharathi andò quindi a fare un bagno e, dopo che ebbe finito, vide l’uomo andarle incontro, prendere il vaso in mano, e gettarlo a terra di fronte a lei. Ubhaya Bharathi, allora, si rivolse a lui dicendo: “Pensavo che questo sannyâsi avesse solo degli attaccamenti, invece è anche egoista”. Il rinunciante aveva buttato il vaso a terra a causa del suo ego, per dimostrare ad Ubhaya Bharati che il vaso, per lui, non aveva alcun valore.

Con qualità simili, a che serve compiere tante pratiche?

Ubhaya Bharati, poi, gli disse: “Perché, pur avendo rinunciato a tutto, continui a rimanere attaccato al tuo ego ed alla tua possessività?” Gli insegnò poi tante altre cose. Il sannyâsi, a quel punto, si inginocchiò ai suoi piedi e promise di disfarsi del suo ego e dei suoi attaccamenti.

Ogni uomo pensa di aver sacrificato qualche cosa nella vita. Che cos’è il sacrificio (tyâga)? Non significa scappare dalla propria famiglia, abbandonare le proprietà ed andare nella foresta. Significa rinunciare alle cattive qualità che risiedono nella mente. Molte persone affrontano il sacrificio come attività mondana. Questo non significa sacrificarsi. Dovremmo eliminare le cattive qualità, i cattivi pensieri, l’ego e le cattive abitudini. Non è poi tanto difficile abbandonare la famiglia ed i possedimenti. A dover esser sacrificate sono piuttosto le caratteristiche negative della nostra vita, che ci conducono sulla strada sbagliata.

Due di queste sono l’attaccamento (râga) e l’odio (dvesha). Si dice che le nostre vite siano influenzate dai nove pianeti; in verità sono solamente l’attaccamento e l’odio a condizionare l’uomo procurandogli tanta sofferenza. Se fuggite da essi avrete la pace. Non c’è bisogno di fare un certo tipo di pratica spirituale per ottenere la pace: dovete adempiere i vostri doveri ed affrontare le responsabilità. Se siete un capofamiglia eseguite i compiti che vi spettano; se non siete sposati, comportatevi seguendo i doveri della vostra condizione. In egual modo, coloro che vivono in un ashram dovrebbero avere pensieri nobili e santificare la loro vita.

Oggi, però, la realtà è un po’ diversa. Non si dà ascolto a ciò che è buono e sacro, bensì a chiacchiere futili. A che sarà servito avere ricevuto un’educazione, se poi si ascolteranno discorsi malevoli invece di interessarsi alle parole buone e sacre? Sfortunatamente, al giorno d’oggi, la tendenza è questa. La mente non è mai ben disposta ad ascoltare ciò che è buono, ma è sempre orientata a prestare attenzione a ciò che è negativo. In questo modo, essa non potrà che formulare cattivi pensieri. Per quale motivo? Perché si instaurerà la cattiva abitudine di pensar male. Dobbiamo quindi coltivare buone abitudini.

L’oggetto è uno, anche se ci appare sotto variegate forme. Per esempio, questa è una ghirlanda composta da molti fiori, ma il filo che li tiene insieme è uno solo. I fiori sono diversi, freschi oggi, appassiti domani, eppure il filo rimane sempre uguale. Ieri erano dei boccioli, oggi sono in fiore, domani appassiranno. E così è il nostro corpo. Durante la giovinezza è come un germoglio, più avanti negli anni affievolisce ed appassisce come il fiore. Il corpo cambia, ma il principio vitale, come il filo, non muta. Rimane lo stesso durante ciascuno dei tre momenti della vita. Esso è chiamato Brahma-sûtra, il filo della Divinità che non subisce cambiamenti nel tempo. Questo filo sostiene il corpo che è soggetto a mutamento.

Non bisognerebbe preoccuparsi del corpo, bensì cercare di comprendere con ogni sforzo ciò che è immutabile. Questo è il tipo di sadhana che bisogna intraprendere. Il nostro intelletto e la nostra mente vanno indirizzati nel modo giusto. Questo recipiente contiene dell’acqua e, sul fondo, dello zucchero. Se bevete l’acqua senza mescolarla non la troverete dolce; se invece la mescolerete con un cucchiaino, lo zucchero si scioglierà, dando all’acqua un sapore dolce. Allo stesso modo, in fondo al cuore (il recipiente) c’è la Divinità (lo zucchero), mentre la parte superiore di esso è coperta dai desideri mondani (l’acqua insapore). Usando l’intelligenza (il cucchiaino) nel modo giusto, cioè pensando a Dio (il mescolare), la Divinità si diffonderà in ogni parte (la dolcezza dello zucchero si espanderà). Questo significa fare sadhana. Non abbiamo bisogno di andare a cercare al di fuori di noi stessi. Dato che il recipiente del cuore, lo zucchero della Divinità e il cucchiaino dell’intelletto sono in voi, cercare fuori è ignoranza.

Tyâgarâja era in cerca del Signore Râma e il re di Tanjavur aveva organizzato un concerto di musica tenuto da Tyâgarâja. Quest’ultimo, dopo aver reso omaggio a tutti i dignitari presenti, riuscì, attraverso la sua musica, a far loro dimenticare ogni altra cosa. Quando il re volle premiarlo offrendogli dei soldi, Tyâgarâja si domandò se sarebbe stato più felice una volta ricevuto il denaro o se la felicità maggiore non sarebbe stata la vicinanza al Signore. Optò per quest’ultima, rifiutando così di accettare il denaro. Il re ordinò di trasportare Tyâgarâja a casa con la portantina, ma alcuni ladri, vedendo la scena ed immaginando che avesse con sé dei soldi, si misero a seguirlo. I portatori, accorgendosi di essere seguiti e spaventati all’idea di poter essere derubati, avvisarono Tyâgarâja, il quale disse loro: “Perché avete paura? Non abbiamo con noi cose di valore. Abbiamo delle virtù, non delle ricchezze”.

Poco dopo, tutti i ladri che rincorrevano la portantina si inginocchiarono ai piedi di Tyâgarâja e lo pregarono di difenderli da due uomini armati di arco e frecce. Tyâgarâja, che era sempre alla ricerca del Signore Râma, intonò allora un canto: “O Signore, anche se sei sempre con me non ho potuto fare a meno di cercarTi nei luoghi più disparati; solo attraverso questi ladri ho potuto capire”.

Dio è sempre vicino a noi, intorno a noi e dentro di noi, e ci protegge costantemente. Tyâgarâja così pregò: “O Râma, proteggimi, salvami” e dimenticò se stesso. Questo significa che un ricercatore spirituale cercherà Dio fino a quando non Lo avrà trovato dentro se stesso. Una volta scoperto che il Signore è con lui, dentro di lui, dietro di lui, sopra e sotto di lui e intorno a lui, non avrà più bisogno di fare altra sadhana. Ogni individuo dovrebbe cercare di comprendere questo tipo di sadhana. Voi siete Dio. Dio abita nel vostro cuore; esso è la Sua casa. Il corpo è il tempio ed il cuore è la Sua sedia. La Divinità è in voi: questa verità deve essere riconosciuta da tutti. Ridicolizzare o accusare chiunque è peccato e non si può sfuggire ad esso. Quelli che voi chiamate altri, non sono in realtà che Dio stesso. Quindi non accusate, non umiliate e non criticate nessuno. Per quale motivo? Perché il Dio, presente in ognuno, è uno soltanto. Quando avrete conosciuto questa Divinità, di che cosa dovreste aver paura? Amate chiunque incontriate, rispettatelo e servitelo.

Lasciate che vi dia un esempio di come un bambino ha mantenuto la parola dataMi. Il piccolo proveniva da Simla. Dieci anni fa lui ed il fratello studiavano alla scuola elementare di Brindavan ed un giorno la madre fu trasportata in barella, da Himachal Pradesh, al luogo dove risiedevano i figli. Chiamai i ragazzi vicino a Me e dissi alla madre di non preoccuparsi perché quelli erano Miei figli. La donna disse: “O Madre Sai, Te li consegno!” e, così dicendo, esalò l’ultimo respiro. Il bambino più grande allora esclamò che, da quel momento, Sai sarebbe diventato sua madre. Ho portato entrambi i ragazzi qui e, da allora, nessuno dei due ha mai versato una lacrima. I puri di cuore non dimenticano la parola data. Una volta che si promette e si è ben decisi a mantenere la parola, nella vita non si soffrirà più. Questo significa arrendersi.

La madre è morta e il padre, sapendo che Io Me ne occupo, non viene a trovarli spesso. Parlo loro ogni mattina ed ogni sera, informandoMi del loro benessere generale. I cuori puri sono tanto pieni di fede e quel piccolo, allora, parlò chiaramente spinto dalla fede, come continua a fare anche oggi. Non soffre mai per la separazione dalla madre fisica.

Un giorno, all’età di cinque anni, il bimbo Mi fu portato dal direttore della scuola elementare, il quale disse: “Swami, piange e non mangia”. Lo chiamai allora in “interview”, gli donai una anello, lo “alimentai” fino a quando non fu soddisfatto. Da allora, tutte le volte che lo guardi lui ti sorride. I bambini hanno dei cuori così puri! Gli adulti non capiscono la natura di questo Amore così genuino. L’Amore è davvero sacro. Dona tutto il coraggio ed il valore di cui c’è bisogno.

Avrebbero forse potuto vivere così spensierati questi bambini se si fossero trovati altrove? No. È per la presenza di Swami che essi possono andare avanti. Swami si prende cura di loro con l’amore di mille madri. Questa verità non viene compresa nemmeno dai rinuncianti o da coloro che compiono grandi sacrifici. Essi meditano, fanno penitenza, ma si perdono quando vengono toccati negli attaccamenti. Mantenendo una promessa fatta, dovreste condurre una vita piena di pace. Che cosa dovete seguire? L’Amore. Se possedete l’Amore, acquisterete sia la forza fisica che quella mentale e spirituale, nonché tutte le altre. Tutti i poteri risiedono nell’Amore. Se avete l’oro potete creare gioielli o oggetti diversi. Colui che riesce a ricevere la grazia divina può acquisire qualsiasi cosa.

Quindi, ciascuno deve comprendere la Divinità e comportarsi di conseguenza. Non ci sarà allora alcun bisogno di sadhana. Eliminate tutte le cattive qualità e ciò sarà sufficiente. Abbiate la certezza della presenza di Dio in ognuno. Gli studenti devono sviluppare lo spirito di unità: con esso si potrà ottenere qualsiasi cosa. Anche se questo mondo ne ha bisogno, il lusso, l’agiatezza e le comodità sono transitori.

Mi prendo cura IO personalmente di tutte le cose piccole o grandi. Posso anche non parlarvi, ma al direttore chiedo continuamente notizie particolareggiate di voi. Malgrado tutte le responsabilità, Mi prendo cura di ogni studente. Quelli che non hanno una mente aperta pensano che IO non rivolga loro lo sguardo; in realtà, vedo ognuno di voi. Questo ragazzo ha appena detto: “Ho perso una madre, ma ne ho acquistate altre mille”. Chi possiede un tale coraggio da pronunciarsi in questo modo? È per questo che egli ha cominciato il suo discorso dicendo: “Madre Sai”. È solo la fede che lo protegge. È soltanto l’Amore che vince.

Quindi, sviluppate questo Amore ed una volta che lo avrete conquistato potrete essere vincenti sotto ogni aspetto. Un’altra cosa: dovete osservare la disciplina. Ieri vi ho detto di rivolgervi agli altri con gentilezza e con amore, senza usare parole dure. Qui a Prasanthi Nilayam, negli ultimi due mesi, è diminuita la disciplina. Il rumore che fate subito dopo i bhajan, mentre vi allontanate, è insostenibile. Dopo che ho chiamato le persone in “interview”, il brusio che si crea, da un lato all’altro della veranda, ricorda il mercato. Quando vi allontanate da questo luogo di riunioni, dovreste meditare sulle parole di Swami e non vociferare. Tutti i locali rimbombano dal frastuono causato dai devoti, uomini e donne, e non solamente qui a Prashanti Nilayam, ma dappertutto. Non dovreste parlare tanto. La disciplina deve essere come la Nostra ombra: dovunque vai, essa ti segue. Prima di ogni cosa, Dio vi chiede questa disciplina. Quindi, quando lasciate questo luogo di riunione o il posto dove si cantano i bhajan, fatelo in silenzio. Quando siete nei vostri appartamenti potete parlare delle vostre questioni familiari. Parlando troppo, perdete tanta energia divina e diventate nervosi, dimenticando così tutto quello che avete ascoltato. Osservate, quindi, la disciplina.

Uomini e donne non dovrebbero parlare tra di loro quando si trovano per le strade o nel mandir. Potete farlo a casa. Gli adulti conversano di fronte agli studenti e ciò è di cattivo esempio. Quando osservate il silenzio, sentite la voce di Dio. Da oggi, cominciate a praticare la disciplina e non usate mai parole dure, ma parole d’Amore. L’Amore dovrebbe essere la Nostra vita. L’Amore è Dio. Se sprecate questo Amore, sprecherete la Divinità che è in voi. Vivete quindi un’esistenza piena d’Amore, di compassione e di comprensione e vi dimenticherete del tempo che passa.

Baba ha concluso il Discorso intonando il bhajan: Govinda Krishna Jai...




Corso Estivo 1996

Estratto del Discorso del 04 Luglio 1996



da: Mother Sai - Supplemento 1996