DISCORSO DIVINO

Il piacere del sacrificio

24 maggio 1991

Il Cosmo intero ha origine dalla Verità (Satya),
riceve sostegno dalla Verità e torna alla Verità.
Sappiate che questa Verità è la realtà più pura che permea tutto l'Universo.


C'è una sola Verità

Incarnazioni del Divino Amore!
Ekam sul viprâh bahudhâ vadanti: "Unica è la Realtà, di cui i Saggi parlano in mille modi".
Ogni cosa vive di Verità e, nell'atto della Creazione, rimane nella Verità.
Tutto il Creato si rifonde nella verità. Non c'è luogo in cui non esista la Verità. A ben guardare, se siete dei ricercatori e degli osservatori, non esiste che la pura e incontaminata Verità. Nonostante la Verità sia una sola, i Santi ne hanno parlato in tanti modi.

La Verità non è un monopolio di chicchessia: non è legata ad alcuna particolare nazione, non si limita entro i confini di una singola religione, non è vincolata ad un'epoca storica particolare. È qualcosa che trascende
tempo, spazio e pensiero. Spetta ai popoli d'ogni era, nazione, casta e religione conoscere questa Verità. Non è la Verità che insegue qualcuno, ma tutti seguiranno la Verità. Manu fu il primo uomo che propagò la Verità, ed
è per la discendenza da Manu che l'uomo viene chiamato manujâ.

Il principio morale insegnato da Manu è che l'uomo dev'essere disposto a sacrificare la vita per sostenere la Verità. Ma nell'attuale situazione storica sta accadendo proprio il contrario: l'uomo d'oggi ama il falso e considera nemico il vero. Gli uomini si danno un gran da fare per capire ogni cosa, ma non si sforzano di capire la Verità. Soltanto per mezzo della Verità si possono attingere tutti i piaceri. I sovrani d'un tempo governavano solo secondo verità.

SOLO LA VERITÀ È CARATTERE.
SOLO LA VERITÀ È RELIGIONE.
SOLO LA VERITÀ È VITA.

Dire la verità con amore

La debolezza dell'uomo è chiaramente messa in evidenza dalla sua fiducia nell'effimero mondo della materia e dal fatto che egli vive incurante della Verità, la quale non viene mai meno ed è eterna. Manu rivelò al mondo anche
questo secondo aspetto:

NON PROFERIR MAI COSE FALSE, ANCHE SE GRADEVOLI.
NON DIRE MAI VERITÀ CHE SIANO SGRADEVOLI.

Ogni uomo dovrà dire la verità, e dovrebbe farlo in maniera accettabile. La verità non dovrebbe mai soggiacere ad alcun genere d'emotività; dev'essere gradita ed essere detta con tutta dolcezza. Si sa che un cieco non è in grado di vedere: è una verità. Ma questo non ci autorizza a rivolgerci a lui chiamandolo "cieco", perché sarebbe offensivo. Non appena udisse quella
parola, si sentirebbe psicologicamente ferito: sarebbe rispettata la verità, ma non la persona.

Se incontrate un mutilato, pur sapendo che è privo di arti, non gli rivolgete la parola dicendogli "Ehi, monco!", perché lo mortificherebbe: è, sì, la verità, ma c'è anche un modo nobile di presentarla.

Non dovreste mai e in nessun modo recare offesa, invocando la verità a vostro sostegno.
L'uomo che non si comporta con correttezza perde la propria personalità, che dovrebbe invece mantenere alta, seguendo i princìpi della Verità, da sostenere nel rispetto degli altri.

Il sacrificio come azione disinteressata

Le Upanishad sono una specie di filo che tiene insieme tutti i Veda. La principale è la Œshâvâsyopanishad. Quest'Upanishad è contenuta sottoforma di mantra nello Shukla Yajurveda Samhitâ. Fino al XXXIX canto questa
Scrittura è un completo trattato della Via dell'Azione o Karma Marga.
Dal XL in poi ha inizio l'esposizione della Via della Conoscenza o Jñâna Marga: è proprio da questo canto che incomincia la Œshâvâsyopanishad. L'azione viene promossa dalla saggezza la quale trova sostegno nell'azione: il punto di coordinazione tra saggezza ed azione si riscontra nell'Upanishad.

Dall'uomo, dunque, ci si aspetta che compia tutte quelle azioni che competono al suo stato: egli dovrebbe intraprendere azioni buone con una buona disposizione d'animo. Dovrebbe essere scevro da quel genere di attaccamento che gli fa attendere una remunerazione per le buone azioni compiute. Non dovrebbe mai dar adito al desiderio di godersi il frutto delle sue buone opere solo per il fatto di esserne l'autore. È questo il tipo di attaccamento che vincolerà l'uomo.

L'Œshâvâsyopanishad afferma: "All'uomo è lecito godere tutti i piaceri e successi, purché ne goda con spirito di abnegazione".

A voler ben guardare, nella vita di ogni giorno il successo e il sacrificio non sono fra loro in relazione. L'uomo di sacrificio non andrà mai in cerca di possedimenti, mentre a chi ama i piaceri della vita non passerà nemmeno per la mente di far sacrifici. Stando così le cose, come si fa a godere le cose che si possiedono pensando al sacrificio?

L'Œshâvâsyopanishad dichiara: "Nessuna differenza correrà tra piacere e sacrificio, quando, pur possedendo, sei libero da ogni senso di ego e quando, non avendo nulla, non hai il minimo desiderio di avere".
Perciò, finché si compiono azioni in simbiosi con l'io e col desiderio, si avrà come risultato un sacrificio inficiato di successo e di desiderio, laddove invece gli attaccamenti e l'egoismo non possono assolutamente
essere presenti.

In realtà, l'egoismo e l'interesse personale sono impliciti nel benessere, per ottenere il quale serve sacrificio. Nessun uomo può sottrarsi all'azione, ma non dovrebbe mai farsi trascinare dalla convinzione che l'azione compiuta sia il risultato del suo intervento personale. Mai dovrebbe lasciar adito al sentimento di essere l'unico ad aver diritto di godere i frutti di ciò che fa per aver compiuto lui stesso l'azione.
Questa è una spiegazione che viene fornita dall'Œshâvâsyopanishad e che rivela la fragilità della natura umana.
Il vero yoga consiste nell'immolare l'ego e gli attaccamenti.

Lo yoga come esperienza spirituale

Che cosa s'intende per yoga? La yoga è il risultato di tante pratiche spirituali e di discipline il cui scopo è predisporre alla vita divina.
Nella Bhagavad Gita si dice: Yogakshemam vahâmy aham, "Io - è Dio che parla - darò ai Miei devoti ciò di cui hanno bisogno".

Lo Yogakshema, secondo la citazione dalla Bhagavad Gita, viene comunemente inteso come benessere della famiglia, della moglie e dei figli, ma non è vero yoga quello che si vuole finalizzare al perseguimento di benefìci terreni.
Si chiama yoga lo stato di colui che, avendo avuto una nascita umana, si dedica a discipline spirituali per sperimentare alla fine la Divinità; quella stessa Divinità che è piuttosto difficile raggiungere e realizzare, la Divinità che non è così palese nella vita di ogni giorno.

Yoga vuol dire avere esperienza di ciò che non può essere visto con occhi fisici, né essere udito da orecchio, né compreso dal pensiero. Yoga significa che la Divinità occultata e non appariscente viene portata al livello di esperienza quotidiana e di apparenza.

Kshema va inteso come ciò che preserva lo yoga ottenuto mediante le pratiche spirituali. Yogakshema significa raggiungere la perfezione divina e mantenerla anche in futuro.
La combinazione di questi due elementi - yoga e kshema - si può definire sacrificio, suprema rinuncia (tyâga).

È indispensabile per l'uomo vivere uno yoga che vada di pari passo col sacrificio, il quale crea la premessa perché il Divino si manifesti nell'umano.
L'uomo, quindi, per realizzare il Divino, deve giungere all'armonia e all'integrazione della persona, non perdendo mai di vista quanto insegnato dalle Upanishad.

La costituzione interna dell'uomo

L'uomo non è una semplice combinazione di elementi spirituali e fisici: egli ha in sé la potente forza di Prajñâ, una costante e completa consapevolezza.
Gli uomini dovrebbero fissarsi bene in mente questa consapevolezza costante e completa, che permea ogni anfratto del corpo, della mente e dell'organo interno, l'Antahkarana.

Che cosa s'intende per Antahkarana? Soltanto in questa sede è possibile avere lo yoga per mezzo del sacrificio. Antahkarana è il complesso di mente (manas), intelletto (buddhi), memoria (citta) e senso dell'ego (ahamkâra).

Che cos'è la mente (manas)? La mente è la continua e fervida attività di pensiero. Mente equivale a pensieri: Sankalpa vikalpâtmakam manaha, "La mente è un coacervo di pensieri e di dubbi aggrovigliati".

Un pezzo di stoffa è tessuto con dei fili verticali e orizzontali: ecco, così è la mente. Se sfilate l'ordito in un certo punto, dopo un po' non troverete più il tessuto. Se si disfano i fili dei pensieri, non si troverà più la mente; è come se il pensiero cedesse le armi e si arrendesse.
Sono, infatti, i pensieri che danno consistenza alla mente: essa ha la forma dei pensieri di cui è costituita. Citta è il sentimento di un pensiero, il ripercorrere un pensiero. Deriva da cinta che vuoi dire "contemplare".

L'intelletto o buddhi è la conoscenza discriminante: è l'intelligenza divina che consente un'analisi nel campo delle cose effimere, per distinguerle da ciò che è eterno.
Poi viene l'ahamkâra, l'ego: indica l'identificazione di sé stessi con la forma corporea. Limitarsi a vedere in un "lui" (o in una "lei") un'apparenza fisica, considerarsi corpo è ahamkâra: l'aham o ego diventa akara, cioè
ankâra, la struttura fisica. Quindi, nella mente, ci sono varie sfaccettature: la mente propriamente detta, la facoltà discriminante ovvero l'intelletto, il pensiero memorizzato, l'identificazione del proprio corpo con l'"io".

Tutta questa terminologia si riferisce ai vari ruoli occupati dalla mente:
nomi diversi in un'unica dimensione, la mente.
- Il medesimo bramino quando celebra i riti nel tempio, è un sacerdote,
- quando è ai fornelli in cucina, è un cuoco.
- quando è in cattedra, è un insegnante,
- quando intona i canti, è un cantore (bhajamin).
I suoi nomi, dunque, cambiano secondo il ruolo che riveste, ma è sempre un bramino.
Se la mente si assume tante responsabilità e funzioni, prende i nomi di manas, buddhi, cittam e ahamkâram: sono tutti sinonimi di mente. Niente è tanto separato quanto l'Antahkarana, l'organo interno.

Tutti i nostri organi di senso sono oggetto di constatazione esterna e sono operativi verso l'esterno: gli occhi vedono e sono visti, le orecchie odono e sono vedute, dalle narici esce il respiro verso l'esterno. Sono tutti esterni.
Gli organi invece dell'Antahkarana - manas, buddhi, cittam, ahamkâram - sono strumenti interni, ed è per questo che si chiamano Antahkarana.

Il sacrificio è purificazione nell'azione

La rinuncia all'organo interno e al piacere prodotto dagli organi di senso esterni si riassume nel sacrificio. Perciò, va innanzitutto purificato l'organo interno e, per far questo, ogni uomo deve fare qualcosa. Senza azione, la mente non può essere purificata. Ecco perché i Veda hanno detto:
Citasya suddhaye karmah,
"L'azione rende pura la mente".

Ognuno dovrebbe compiere buone azioni per purificare la mente. Che cosa s'intende per buone azioni? Le azioni compiute senza aspettarsi dei risultati, senza egoismi, sono buone. Compiere azioni è irrinunciabile.
L'azione senza egoismo si chiama nishkâma karma ossia "azione scevra da desiderio". Questo tipo di sacrificio compiuto pur vivendo nei possedimenti viene spiegato nell'Œshâvâsyopanishad.

Non ci dovrebbe mai essere un uomo inattivo. Il corpo è fatto per l'azione e l'azione santifica il tempo. Il tempo è connesso con delle responsabilità, ha dei doveri (kartavyam). Scopo principale dell'uomo è far sì che il
tempo e il corpo siano sacri ed inviolabili. Ahimè! Che uso fa l'uomo del corpo quando inizia una vita umana? In ogni istante non fa che pensare a sé stesso ed ai propri interessi. Come farà a sperimentare la gioia del sacrificio?
L'egoismo trasforma il piacere (bhoga) in malattia (roga).
L'uomo dev'essere uno yogì, non un bhogi; un asceta, non un edonista.

L'asceta, l'edonista e la "malattia"

Che cosa s'intende per piacere o bhoga? Che cosa rende edonista (bhogi) una persona?
Sprecare la vita mangiando e bevendo o nel satollarsi! Certo, il corpo ha pur bisogno di cibo per reggersi, dev'essere coperto per difendersi dal freddo. Circondare il proprio corpo di attenzioni che vanno al di la del necessario è una futilità bell'e buona, se si pensa che il corpo non è fatto d'altro che di elementi soggetti a decomposizione. Un corpo è pieno di fattori patogeni, di materia fecale, orina, sporcizia. Vita dopo vita, va perso. Serve solo ad attraversare l'oceano della vita. Il suo destino è il decadimento; la sua morte è certa. Sembra un rovo spinoso. Per liberarlo dalla malattia occorre impegnarlo nel servizio del Signore.

Che cos'è la malattia? Cos'è la salute? Siamo circondati dalla malattia. La fame è una malattia, e la medicina per curarla è il cibo. La sete è una malattia, e l'acqua ne è la cura.
Per ogni malanno, quindi, si prende una cura adatta. Il desiderio di piacere è una malattia e, per soddisfare questo desiderio, uno dovrebbe fare qualcosa; altrimenti che cosa si può mai ottenere se non si fa niente?

Per quanta voglia ne abbiate, ciò di cui avete bisogno è applicarvi a qualcosa che vi procuri quella gioia. Se in un piatto ci sono chapati e patate, non sarà certo ripetendo più volte " chapati - patate" che vi passerà la fame! Per acquietare i morsi della fame, dovete mettere in moto
le mani, dovete portare con le mani il cibo alla bocca; inoltre, dovete riporre la lingua in basso, come se non ci fosse.

Solo dopo aver fatto queste due cose, avrete il piacere di mangiare.
Niente al mondo può sfuggire alla "malattia" del piacere; tuttavia si può fare uno sforzo per trasformarla in yoga, ossia in esperienza del Divino. Per questa ragione, le Scritture dichiarano:

* Colui che mangia una sola volta al giorno è un asceta (yogi),
* chi mangia due volte è un edonista (bhogi),
* chi mangia tre volte è un malato (rogi),
* se poi mangia quattro volte al giorno, è un morto vivente".

L'uomo trascorre gran parte del suo tempo per riempirsi lo stomaco, invece di impegnarsi a diventare un modello per il mondo.

Magnanimità e perdono

Studenti, tutto ciò che è materiale è destinato a scomparire nel tempo.
Il tempo e la responsabilità costringono a lasciare il corpo. Anche se il corpo se ne va, la sua scomparsa non si porta via ciò che è immutabile ed eterno: gli ideali della vita sopravvivono di generazione in generazione. Si possono anche avere desideri, ma entro certi limiti. Compite il vostro dovere limitando le vostre pretese e tenendo di mira il bene sociale.
Questo è il vero sacrificio (tyâga) che da piacere (bhoga): in realtà, quando vi mettete a servire gli altri, la gioia provata è incommensurabile, ed è solo nel sacrificio che potete sperimentarla. Ma se mirate ad una ricompensa, non avrete quella felicità.

In questo mondo dovreste dimenticare una cosa e ricordarne un'altra:
sono due esortazioni che vi consentiranno di vivere con gioia il sacrificio.
Che cosa dimenticare? Dimenticate tutto il bene che avete fatto agli altri.
Se tenete a questi ricordi, significa che volete qualcosa in cambio, se dimenticate, eviterete gelosie, invidie e ostilità.

Dimenticate anche il male ricevuto, perché, se ci pensate, vi verrà voglia di vendicarvi.
Se volete evitare che brutti pensieri occupino la vostra mente, dimenticate il male che vi hanno fatto. È un vero sacrificio dimenticare il bene compiuto ed il male ricevuto.
Altrimenti, se ti metti a rimuginare su ciò che hai fatto per gli altri e su ciò che gli altri hanno fatto a tè, il corpo diventa una discarica d'immondizia, un cumulo di odoracci che non gli si addicono. Tutto ciò che pensi sfocerà di certo in una reazione. Quindi, per stare con le tradizioni indù più antiche, puoi evitarla.

La fede degli Indù si basa su quattro princìpi:

1°. ad ogni azione corrisponde una reazione: il frutto dell'azione.
2°. Dio si incarna in forma umana.
3°. Non è possibile sfuggire alle conseguenze delle proprie azioni;
4°. Tutto quanto esiste al mondo contiene ed esprime il sacro, la santità.

Dal sacrificio nasce il piacere

La purezza, la pazienza e la perseveranza sono i requisiti indispensabili per compiere qualunque cosa. Queste virtù andrebbero perseguite con ogni determinazione. Proprio gli studenti di questa età dovrebbero entrare nell'ordine di idee della gioia che si acquista col sacrificio, evitando la "malattia del piacere", giacché il vero piacere sta nel sacrificarsi.

Molte volte Svâmi vi ha detto che non si può star bene finché l'aria respirata non viene di nuovo espulsa, altrimenti i polmoni si riempiono di aria viziata. Se il cibo consumato non viene escreto, non potete considerare una sorta di piacere o di sacrificio l'addome che si avvelena.
Qualunque cosa otteniate, siate disposti a sacrificarla, esattamente come sacrificate ciò che avete ingerito o respirato.

Che cosa si intende per ricchezza? Essere ricchi equivale ad essere sapienti, istruiti.
Orbene, la ricchezza che avete acquisito nell'istruzione, dovreste diffonderla sotto forma di conoscenza agli altri. Soltanto per mezzo del sacrificio vi riuscirà di crescere in sapienza interiormente. Se non partecipate agli altri la vostra istruzione, la perderete di certo.
Quanto più la sacrificate, tanto maggiore sarà.

Non crediate che il vostro aiuto vada a beneficio di qualcun altro; voi state aiutando voi stessi. Mentre ripetete ad altri degli insegnamenti, ne godete i benefici effetti.

L'ansia per un giorno perduto

Studenti, si pensa solo alla crescita e non agli altri aspetti, al declino.
La vita è in potenza longeva; man mano, però, il corpo cresce e la longevità diminuisce. Ci sentiamo felici sia al sorgere del sole che al suo tramonto.
All'alba siamo molto felici, perché sta per iniziare una giornata di luce ed il lavoro riprende; al tramonto pure siamo felici, perché l'oscurità che sta avanzando ci consente di riposare.

Ma tutto questo è frutto d'ignoranza: si è molto contenti per il sole che sorge e tramonta, ignari che, nello stesso tempo, il suo movimento porta via con sé la vita. Su questa verità si passa sopra senza pensarci. Quindi,
ciascuno dovrà assumersi gli oneri e le responsabilità della giornata, ancor prima che il sole sorga o tramonti.

Ramakrishna Paramahamsa fece ogni sforzo per ottenere la visione (Darshan) del Divino.
Prima di coricarsi, si faceva un completo esame di coscienza, e concludeva:
"Anche questa giornata è andata in perdita, senza che abbia potuto avere l'apparizione del Signore". Era assai angosciato per questo, giacché per lui ogni giorno che passava era una preziosa occasione persa.

I Rishi, gli antichi Saggi, convertirono questo anelito in atti di penitenza, mettendovi ogni impegno. Non si deve credere che la loro penitenza consistesse in contorsionismi, strane posizioni con gambe all'aria e testa all'ingiù. Penitenza vuoi dire coerenza di pensieri, parole ed azioni: in questo si distingue il grande uomo. I grandi vivranno sempre nell'unità di pensieri, parole ed opere. Non potete chiamare tapas o penitenza il pensare una cosa, dirne un'altra e farne un'altra ancora.

Dilatare i cerchi per averne uno solo

La vita di un uomo è sacra, molto sacra: va vissuta, sperimentata con gioia.
Una nascita umana (evento raro) andrebbe impiegata per essere vissuta splendidamente, godendo appieno quell'unità, e non inseguendo cose passeggere. Non c'è nulla di sbagliato nell'essere istruiti in discipline profane, ma non va perduta di vista la dimensione divina e si deve far di tutto per assecondarne lo sviluppo.

Siamo degli yogì; non possiamo mai essere dei bhogi o dei rogi. Siamo degli asceti, mai edonisti o infermi. Se non ci fosse la notte, nessun valore avrebbe la luce. Se mancasse la fame, il cibo non sarebbe desiderato.
Se non facesse caldo, nessuno vorrebbe un condizionatore d'aria. Non avrete piacere col piacere; ma solo dopo aver sofferto e patito, l'avrete.

Se state 24 ore su 24 in un ambiente ad aria condizionata, non vi sarà facile apprezzarne il beneficio; ma se uscite al sole per un paio d'ore e poi rientrate nell'ambiente fresco, proverete un gran sollievo. Così è
la vita: un misto di dolori e di piaceri, di sfruttamenti e di amore, di caldo e di freddo.

Se non c'è dualismo, non si pone il problema del monismo. Quando si entra in azione, nasce la distinzione tra "questo" e "quello". "Quello" è il Tat,
"questo" è il Tvam. Questo è l"io", quello è "Lui": Lui ed io. Bisogna metterli insieme. Occorre passare dalla posizione di "io" a quella di "Lui".
Non si tratta di un movimento dal falso al vero, ma da una verità minore ad una maggiore. Com'è? È un grosso cerchio, un grande cerchio completo, all'interno del quale ce n'è un altro più piccolo, che rappresenta il corpo.
Il cerchio più grande è la mente, e quello più esterno ancora è l'Âtma.
Il cerchio dell'Âtma non subisce mai mutamenti.

Bisognerebbe entrare nel mondo con la volontà di espandere il cerchio minore, il cerchio dell'io, sino a farlo coincidere con quello della mente.
Quindi, si dovrebbe allargare la mente sino a sovrapporre il suo cerchio su quello dell'Âtma, per fondervisi.

L'orologio a sfere

Eccovi un piccolo esempio. C'è un orologio da parete con tre lancette:
una per i secondi, una per i minuti primi, e la terza per le ore. Qual è tra queste tre lancette la principale? Senza la lancetta dei minuti, non serve quella dei secondi, e senza quella delle ore, non serve quella dei
minuti.
Sono tutte e tre necessarie, ma quale di esse è la più importante? La lancetta dei secondi compie 60 tratti per completare un giro di un minuto, e quella dei minuti passa su 60 settori per completare un giro di un'ora.

Il corpo è un orologio a muro. Quando le numerose azioni, paragonate al movimento dei secondi, hanno fatto un giro completo, la mente, che corrisponde alla lancetta dei minuti primi, avanza di un settore.
Quando la mente ha compiuto un giro di 60 settori, la lancetta dell'Âtma - quella delle ore - avanza di uno.

L'insieme delle buone azioni e dei buoni pensieri farà avanzare la mente e lo Spirito. Quando la mente è impegnata in pensieri puri, lo Spirito sarà in uno stato di beatitudine. Ecco perché è necessario compiere buone
azioni. Se mancasse la lancetta delle ore - la Beatitudine dello Spirito - non ci sarebbe ragione di far avanzare le altre due sfere, le buone azioni e i buoni pensieri.

L'Âtma, lo zucchero sciolto nel tutto

Tre sono gli elementi essenziali del mondo: la terra, lo spazio e la luce.
Questi tre elementi sono a fondamento dell'esistenza di un individuo.
L'acqua e l'aria sono l'alimento, ed insieme agli altri tre
costituiscono il requisito indispensabile per la sussistenza di un individuo. Dovunque ci siano acqua ed aria, c'è l'Âtma, il quale può esistere isolatamente, ma
senza il quale né acqua né aria possono esistere. L'Âtma non ha dipendenze di sorta.
Al contrario, è dall'Âtma che tutto dipende: esso sostiene tutto. I cinque elementi trovano sostegno nell'Âtma.

Ci può essere un padre senza figlio, ma non ci può essere un figlio senza padre. Può esserci dell'acqua senza pesci, ma i pesci non possono vivere senz'acqua. Ci può essere Âtma senz'acqua e senz'aria, ma aria ed acqua non possono sussistere senza Âtma. Non sono i cinque elementi a costituire la base per l'Âtma, ma è l'Âtma che fa da fondamento a tutti e cinque: in essi giace il mistero della Divinità.

Quando si gusta il mistero insito nei cinque elementi e se ne fruisce con spirito di abnegazione, si arriva a Dio. Ogni istante noi godiamo dei benefìci procurati dai cinque elementi. Se, per un solo momento non respiraste, soffochereste. L'aria è dappertutto, tutt'intorno, ma non potete vederla né prenderla in mano.

E così è della Divinità: si trova ovunque, ma senza che si possa vedere con occhi fisici.
Né potete avere la visione per mezzo dell'esperienza, ma si tratta di un'esperienza che oltrepassa la dimensione delle apparenze fisiche. Se fate cadere dello zucchero in un po' d'acqua, vi si scioglierà dentro. Dov'è
finito lo zucchero? È in ogni molecola dell'acqua, in superficie, a metà e sul fondo, dappertutto. Non ce lo potete vedere, ma se ne assaggiaste anche una sola goccia, lo potreste sentire col gusto. È l'esperienza che ve ne dimostra l'esistenza, non l'aspetto esteriore, materiale. Perciò, per mezzo dell'esperienza pratica, avete una dimostrazione concreta.

Entrate nell'intimità dello Spirito: ne avrete beatitudine, a cui giungerete per mezzo di tutte quelle pratiche adatte ad avvicinarvi a Dio.
Sperimenterete la forma dell'amore quando in voi crescerà lo spirito dell'amore. Un cuore privo d'amore, non mieterà mai amore: non si raccolgono frutti d'amore nel campo dove non è stato coltivato amore.

Le Gopi così pregavano: "I nostri cuori sono aridi, senz'amore. Noi vorremmo veder germogliare i semi dell'amore. Ma per questo serve l'acqua".
E Krishna, per far scendere su di loro la pioggia dell'amore, cantò:

Che cos'è la pioggia dell'amore?
Che cosa sono le parole d'amore?
Che cos'è un cuore d'amore?
Ciò che sparge amore a sufficienza è l'acqua.
Il frutto dell'amore è beatitudine.
Il flusso dell'amore è l'oceano.

Ci si deve dedicare all'esperienza di questo spirito d'amore: in ciò il piacere (bhoga) convive col sacrificio (tyâga). Non si tratta di un piacere fisico, e tanto meno mentale. È un piacere spirituale, atmico; naturale, non
artificiale, saturo di beatitudine spirituale.

Allora, studenti, illuminate il mondo intero con l'amore. Oggi non c'è amore. Fra gli uomini c'è odio. Perciò, l'amore è la redenzione dell'uomo.


Brindâvan, Whitefield, 24 Maggio 1991 Lezione agli studenti del Corso Estivo

Tratto da: Mother Sai n. 4/92