DISCORSO DIVINO

da: Corso Estivo 1978

1 gennaio 1978

Un amore sconfinato scioglie l'illusione Chi costruisce un muro man mano lo farà sempre più alto Chi scava un pozzo, andrà sempre più in profondità, II gioco di Dio Incarnazioni dello Spirito Santo, Sulle cose che riguardano Dio, l'uomo è in continuo fermento: fa molteplici e svariati tentativi per riconoscere lo Spirito (Âtma) e fa sforzi per comprendere idee sempre più nobili e grandi. A volte, però, dimentico della ricerca spirituale, spreca un sacco di tempo inseguendo oggetti materiali. Lo Spirito richiede una visione interiore, la materia una visione esteriore. La santità del Bhâgavata consiste nell'aver conciliato la visione interiore con quella esteriore e nell'aver creato unità fra lo Spirito e la materia. Accecati dalla ricchezza e dalla forza fisica, i Kaurava furono incapaci di riconoscere la potenza di Krishna. Jarasandha si inorgoglì del fatto di essere nato in una setta più elevata della Yadava, dove invece era nato Krishna e, reso cieco da questo orgoglio, non riuscì a intravedere la magnificenza di Krishna. Anche i teologi e gli esegeti (pandit), persa la loro intuizione tra i meandri delle disquisizioni intellettuali, con tutta la loro erudizione non seppero riconoscere la personalità divina di Krishna. L'orgoglio della stirpe, l'egoismo della ricchezza e l'arroganza della cultura impedirono a molti altri di rendersi conto della grandezza di Krishna. Le attività di Dio si possono chiamare "giochi" (lila). Nessuno può definire la natura di questi trastulli di Dio, né è possibile capirli. Solamente quando l'avvenimento si è verificato, si riesce a capirne il senso. Giacché questi "divertimenti di Dio" sono generalmente velati dall'Illusione (Mâyâ), all'uomo non riesce di scoprire la Divinità che li ha prodotti. Utilità dell'Illusione Ed è sempre e solo a causa di questa Illusione che l'uomo non è capace di intravedere la connessione che esiste fra uomo e uomo. Tutti gli attaccamenti nascono dall'illusione. Se non ci fosse l'illusione, si fermerebbe il progresso dell'umanità. Mâyâ, dunque, non è assolutamente negativa, anzi è utilissima, soprattutto per l'uomo che la sa vedere nei suoi molteplici aspetti. A coloro, invece, che non ne comprendono la funzione, essa apporterà gravi danni. In verità, l'Illusione è necessaria all'uomo al punto che può trasformarsi nella via regale per la ricerca di Dio. Chi invece non comprende il ruolo di Mâyâ, troverà arduo il cammino. Prendiamo, ad esempio, una gatta: quando afferra in bocca il suo gattino per trasportarlo in un nascondiglio sicuro, non gli fa alcun male; ma la stessa gatta, quando azzanna un topo, lo uccide. Per chi non capisce gli aspetti del Divino, Mâyâ è come il gatto che stringe fra i denti il topo.



Per chi capisce Dio, invece, Mâyâ sarà la madre amorosa che stringe i micini per proteggerli. L'Illusione, infatti, è uno strumento di Dio ed è per questo che Dio a volte viene descritto come Uno che indossa Mâyâ per mantello. L'Illusione è la causa fondamentale del sostegno, della dissoluzione e della creazione. Essa assumerà volti diversi secondo i tempi, dei luoghi e delle circostanze. Mâyâ è come la corrente elettrica: può essere usata per far funzionare un ventilatore o per accendere una lampadina. Con l'elettricità si possono azionare anche molte altre apparecchiature; però, anche se la corrente elettrica è tanto utile, non cercherete di toccarla per dimostrarle gratitudine, perché rimarreste uccisi sul colpo. L'elettricità è utile e dannosa allo stesso tempo. In questo mondo non è possibile trovare un posto dove non ci sia Mâyâ. Buddha affermò che tutto il mondo è transitorio ed in esso non c'è alcun valore permanente. Perciò, da questo punto di vista, si dovrebbe concludere che tutto quanto vediamo intorno a noi non è in fondo nient'altro che il gioco (lila) di Dio. Qualunque cosa si faccia, va vista come un gioco del Signore e con questo modo di vedere si sperimenta la verità. I Pândava, persi regno e ricchezze, dovettero vagare nella foresta, ma, dal momento che i loro pensieri erano sempre concentrati su Krishna, Egli li ricoprì della Sua Grazia. Anche se avevano perduto il potere della ricchezza e della posizione, con la forza della fede meritarono la Grazia del Signore. Il Bhâgavata insegna all'uomo che è assolutamente indispensabile avere la forza che proviene dalla giusta condotta e dalla fede in Dio. La supplica di Kuntî La battaglia del Mahâbhârata era finita e Krishna, dal quale era dipesa la vittoria, stava ritornando con i Pândava ad Hastinâpura. Dopo un po' di tempo, pensò di tornare a Dvârakâ. Quando Kuntî seppe della decisione di Krishna, andò di corsa da Lui, Gli prese le mani fra le sue e Gli rivolse questa supplica: "Tu sei il protettore dei deboli e di coloro che sono in difficoltà. Hai protetto i miei figli e mi hai concesso la fortuna di rivederli. Ci hai dato aiuto nel momento in cui ne avevamo maggiormente bisogno. Io mi sono illusa che la cosa più importante fosse l'affetto e l'attaccamento, ma ora ho capito che l'attaccamento è davvero quanto di più velenoso ci sia. Ho avuto la fortuna di gustare il tuo amore. Non c'è nulla di più grande dell'amore. Quand'ero giovane ripetevo il mantra che mi aveva insegnato Durvâsas ed ebbi un figlio che fu concepito per volontà della Divinità Solare. Per timore dell'opinione pubblica, abbandonai mio figlioletto Karna; da quel giorno, continuai a soffrire per averlo perso. Dopo il mio matrimonio con il re Pându, compii un viaggio attraverso la foresta con mio marito. Per la bontà e la grazia di qualche divinità, ebbi tre figli: Dharmarâja, Bhimâ e Ârjuna. A mia sorella Madri nacquero due figli: Nakula e Sahadeva. Madri chiuse i suoi giorni insieme al nostro marito. Temevo che, se anch'io fossi morta con mio marito, non ci sarebbe stato nessuno che accudisse questi giovani figli e fu per questo attaccamento che mi presi cura di loro. Con la grazia dei saggi (Rishi), arrivai ad Hastinâpura e, dal giorno del mio arrivo, i crudeli Kaurava fecero di tutto per renderci la vita impossibile e tentarono persino di uccidere i miei figli incendiando la casa dove vivevano. Cercarono di disonorare Draupadì, mia amatissima nuora. E Tu, dal principio sino ad ora, hai sempre protetto i miei figli, guidandoli e consolandoli in ogni occasione. Tu sei per loro come un fratello, un padre, una madre, un parente e sei il loro Dio. Non mi farò illudere e ingannare dalle tue sembianze umane e dal tuo fisico alto cinque piedi. Tu sei Dio; non c'è assolutamente alcun dubbio. Tu sei la sorgente della mia gioia ed il mio aiuto. La gioia è sempre un intervallo tra due pene e, in mezzo a tutte le mie difficoltà, sei stato il mio conforto e il mio soccorso. Ci hai protetti per tutto questo tempo. Non posso vivere un solo minuto senza di Te. Come potrei essere d'accordo sul Tuo ritorno a Dvârakâ? Ti prego, rimani ancora un po' e insegna all'inesperto Dharmarâja l'arte di governare". Dobbiamo notare che l'appellativo con cui ella si rivolse a Krishna fu Madhava. Ma è Lakshmî e significa anche Mâyâ. Il termine dhava significa "padrone, signore". Quindi, quell'epiteto vuoi dire "Signore della Natura, della Ricchezza e dell'Illusione". Libertà di Dio Dio è un'entità assolutamente libera. C'è gente che dice: "Dio dovrebbe essere così e così, dovrebbe fare questo e quello". Come può esserci un limite determinato da attributi e caratteristiche (guna) per Colui che li trascende tutti? Come può esistere una forma particolare entro cui possa circoscriversi il Senza-Forma? Dio, quando decide di intervenire a favore del mondo, assume qualunque forma e qualità Gli piaccia. L'intervento di Dio che prende una forma particolare avverrà in risposta alle azioni e alle preghiere dei devoti. Supponete di costruire una casa in un piccolo appezzamento di terra e che venga edificata su tutta l'area disponibile. Intorno ad essa non ci sarà dello spazio, ma ve ne sarà all'interno della costruzione stessa ed il proprietario potrà circolare dentro liberamente. Similmente, l'Universo è la dimora di Dio ed Egli si muove liberamente in tutti gli spazi. Ecco perché Krishna sorrise quando fu richiesto di aprire una porta che non può essere aperta. Infatti, che senso ha cercare l'entrata principale di una dimora che è l'Universo stesso? Se il Signore mi sta accanto, perché andare in cerca della porta principale per andare a trovarLo? Suonate le corde del Nome del Signore e concentratevi sull'eccelsa dimora di Dio, il Kailâsa. Questa concentrazione e la ripetizione del Nome di Dio sono l'ingresso principale del Palazzo di Dio. Il nostro cuore colmo di beatitudine (ânanda) è il vero Kailâsa. "Chi semina nel pianto mieterà con giubilo" Kuntî sapeva che il Signore dimorava nel suo cuore. Prima di arrivare a capir questo, viveva nell'illusione che attaccamento (Moha) ed affetto fossero delle buone qualità umane. Era arrivata anche a capire che, per coloro che hanno realizzato la grandezza di Dio ed hanno riposto in Lui la loro fiducia, non ci può essere più alcun pericolo. Dio non è contento se di tanto in tanto non vi sottopone a qualche prova. Persino una madre non è soddisfatta se a volte non sente piangere a pieni polmoni il proprio bambino. E quando vuole baciarlo e vezzeggiarlo, prima gli da un pizzicotto sulla guancia. Alla stessa maniera, Dio provoca diverse sofferenze e prove prima di accontentare. Questa ragione indusse Kuntî a dire a Krishna: "Fa parte della Tua natura suonare allegramente la vînâ, quando i Tuoi devoti piangono". Dio vi fa piangere solo per riservarvi una gioia più grande. Si può mangiare di più solo quando si ha fame ed una buona digestione. Come si può mangiare di più, se non si è digerito bene? Così Dio vi sottopone a difficoltà, pene, tristezza: quando le avrete digerite, vi darà gioia e beatitudine. A questo proposito, vi dovete rendere conto che non sarà facile comprendere il perché delle azioni del Signore. Le può capire solo chi ne ha esperienza diretta; gli altri, mai. Per alcune sofferenze superficiali, a volte si pensa che Dio sia crudele. Ma non è cosi. Egli vi sta invece preparando ad una gioia intramontabile. I piaceri materiali sono passeggeri e transitori. Kuntî aveva capito questa verità di fondo e non poteva sopportare la separazione da Krishna. Un amore forte come la vita Un episodio chiarirà quanto fosse intenso l'amore di Kuntî per Krishna. Dopo il nirvana (liberazione dall'esistenza) di Krishna, Ârjuna fece ritorno ad Hastinâpura in uno stato di estrema depressione, mentre, durante tutto il viaggio, gli si presentavano infausti presagi. Giunto al palazzo, comunicò ai Pândava la notizia che Krishna aveva abbandonato il Suo corpo ed essi furono presi da un'infinita tristezza. Sebbene Ârjuna fosse dotato di una forza straordinaria, dopo la dipartita di Krishna non riusciva più nemmeno a piegare l'arco. Comprese allora che tutta la forza che gli aveva fatto vincere la battaglia del Mahâbhârata e per mezzo della quale aveva sterminato i Khandavana, in realtà era dovuta alla vicinanza di Krishna e che non si trattava di un suo personale merito. Ârjuna stava pensando alla maniera meno traumatica per comunicare la ferale notizia alla vecchia madre cieca. Quando furono al palazzo, Kuntî fu informata dell'arrivo di Ârjuna. Era molto anziana, non vedeva più e non sentiva bene, ma appena capì che era arrivato Ârjuna, pensando che avesse notizie sul conto di Krishna, incominciò a tempestarlo di domande. Ârjuna era preoccupatissimo per la madre e temeva di rivelarle quanto era accaduto. Non riuscendo a rispondere, scoppiò in pianto e disse che Krishna non era più. Appena udita la triste notizia, Kuntî abbandonò la vita, per seguire Krishna. La "parzialità" di Krishna Anche i Pândava amavano profondamente il Signore e non erano di stampo comune. I Pândava erano come le cinque energie vitali (prana) di Krishna ed Egli il loro sostegno. Una volta Dhritarâshthra disse a Krishna che non avrebbe dovuto essere parziale nei confronti dei Pândava e dei Kaurava, in quanto per Lui essi avrebbero dovuto essere trattati col medesimo riguardo. A ciò Krishna rispose senza esitazione: "Tra Pândava e Kaurava non si possono fare paragoni di sorta. Ora ti spiegherò in che rapporto mi trovo Io con i Pândava. * Dhârmarâja è la testa, * Ârjuna le spalle, * Bhimâ lo stomaco, * Nakula e Sahadeva sono le gambe di quel corpo di cui Io sono il cuore e la forza motrice, senza le quali non può esistere. Questa è la relazione inseparabile che c'è tra Me e i Pândava!". Krishna, che aveva dato questa risposta, trattava i Pândava con grande affetto ed essi, a loro volta, ritenevano che Krishna fosse la loro forza vitale. Sempre, infatti, sia nella pena sia nella gioia, non facevano altro che pensare a Krishna. Per questo, quando i Pândava seppero del nirvana di Krishna, rimasero fortemente scossi e commossi. La capacità di rinuncia e di distacco dal mondo che dimostrarono i Pândava è impareggiabile. Dhârmarâja appoggiò la testa della madre morta sulle proprie ginocchia; poi, si rivolse ad uno dei fratelli e gli diede istruzioni per la preparazione dei riti funebri. Ad un altro fratello chiese di predisporre il necessario per l'incoronazione di Parekshit e ad un altro diede l'incarico di occuparsi di tutto quanto serviva per la loro partenza verso la foresta, dove avrebbero condotto una vita di isolamento. Da un lato preparava i funerali della madre, dall'altro la partenza per una vita di distacco e di segregazione nella foresta: davvero insolita e singolare fu una tale concatenazione di avvenimenti! L'amore dei Pândava per Krishna fu il propulsore di tutta la combinazione. Il Bhâgavata proclama al mondo la devozione dei Pândava. Krishna era un essere eccezionale che aveva un profondo affetto per i Pândava. Dovete, quindi, cercare di capire le Sue sante azioni, sotto un corretto punto di vista. Il Krishna che si vede oggi nei film non risponde a verità. A volte viene rappresentato come fosse uno studente moderno, intento a fare sciocchezze e pieno di pensieri profani. In verità, Krishna è santo e tutte le Sue azioni sono piene di amore divino. Le Sue azioni, che sono variamente descritte nel Bhâgavata, vanno capite nel giusto modo.